domenica 15 agosto 2021
Il celebre canto XI del Paradiso non è solo il grande racconto del Poverello d'Assisi ma il punto più alto del pauperismo ecclesiale dantesco
San Francesco dipinto da Francisco de Zurbarán

San Francesco dipinto da Francisco de Zurbarán - WikiCommons

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Della leggenda francescana, ricapitolata infine – dopo molti rivoli concorrenti da differenti fonti – nella Legenda maior e nella Legenda minor di san Bonaventura, la «vita in terzine» del santo proposta, per bocca di san Tommaso, dalla Divina Commedia al canto XI (vv. 43-117) del Paradiso è certamente la sintesi più alta e memorabile. Dante volle incentrarla tutta intorno al primato, nella vita di Francesco, della Povertà sino al loro congiungimento in mistica unione: «Ma perch’io non proceda troppo chiuso, / Francesco e Povertà per questi amanti / Prendi oramai nel mio parlar diffuso» (XI, 73-75). Nel compendio dantesco trova suggello tutta la tradizione francescana, con ritmo incalzante, perentorio: «Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro / dietro a lo sposo, sì la sposa piace» (vv. 83-84) sino al coronamento delle stimmate: «nel crudo sasso intra Tevero e Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo» (vv. 106-107).

Eppure, anche in un dettato così epigrafico da sembrare definitivo, le tensioni che hanno accompagnato il primo secolo dell’ordine francescano affiorano dalla tradizione antica della Commedia, che diventa essa stessa testimone del "dramma" e della disputa sul lascito essenziale dell’eredità francescana. Il Francesco di Dante è povero, e anche docilmente dimesso: scende all’Inferno per strappare ai diavoli l’anima di Guido da Monfeletro («Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero»: XXVII, 67), ma deve alla fine rassegnarsi a lasciarlo ai tormenti eterni: «Francesco venne poi, com’io fu’ morto, / per me; ma un d’i neri cherubini / li disse: 'Non portar, non mi far torto'» (XXVII, 112-114).

Accanto a questa sua umile kenosis, si erge l’amore assoluto per la Povertà. Uno dei più celebri episodi è quello che dipinge Madonna Povertà ascendere sulla croce, mentre la Vergine stessa rimane ai piedi del Figlio crocifisso: «sì che, dove Maria rimase giuso, / ella con Cristo pianse in su la croce» (XI, 71-72). Tale il testo che ci tramanda l’antica vulgata della Commedia, recensita e stabilita da Giorgio Petrocchi. Ma una tradizione altrettanto autorevole ci presenta una lezione più radicale: «sì che, dove Maria rimase giuso / ella con Cristo salse in su la croce».

Ora la lezione salse – via via che vengono pubblicati i testimoni e i commenti antichi della Commedia – sembra emergere come più larga e autorevole di quella che poteva essere accertabile al momento dell’edizione Petrocchi (che la esamina e la respinge); essa è intanto presente all’Ottimo Commento che tra le due lezioni ondeggia, non senza attestare la conoscenza della tradizione che vuole che Madonna Povertà ascendesse sulla croce ad abbracciare il suo Sposo: «Quivi pruova per manifesto fatto che, quantunque sia chiaro che Cristo nella sua nativitade, nel suo vivere e nel suo morire, l’amoe [scil.: la Povertà] così teneramente, e ella lui che tanto infino in sulla croce salìe con lui, dove sua madre sancta Maria rimase di sotto a piagnerlo, ella montòe in su legno a piagnere con Cristo: Elli che la lasciava e essa che rimanea privata del vero isposo».

Non meno, poco dopo, Francesco da Buti, chiosando la stessa terzina osserva, insistendo sulla tenace fedeltà di Madonna Povertà: «la Vergine Maria madre di Cristo, rimase giuso; a piè della croce, Ella, cioè la povertà, con Cristo, nostro Salvadore, salse; cioè sallitte, in su la Croce: imperò che Cristo nudo fu posto in su la croce nudo, se non che la madre li fece ponere lo suo velo a coprire le parti vergognose; ecco che la povertà accompagnò Cristo suo primo sposo in su la croce e mai non si partì da lui, mentre che vi stette».

La quasi totalità, poi, degli incunaboli che propongono il primo grande commento a stampa, quello di Cristoforo Landino, attestano salse, lezione così chiosata: «Né gli valse ancora havere tanta constantia col suo sposo e tanta ferocità che non l’abbandonò etiam nella morte e non solamente l’accompagnò con Maria infino alla croce, ma rimanendo Maria in terra, epsa salì con Christo in sulla croce» (Tale il commento, ad esempio, nelle edizioni di Brescia 1487 e Venezia 1497). Questi testimoni concordano insomma tanto con il Sacrum Commercium, «Tu autem, fidelissima sponsa, amatrix dulcissima, nec ad momentum discessisti ab eo [...] Non reliquisti eum [Christum] usque ad mortem, mortem autem crucis. Et in ipsa cruce, denudato iam corpore, [...] patiebaris secum » , quanto con l’Arbor vitae crucefixae di Ubertino da Casale («Ipsa matre, propter altitudinem crucis, [...] te [Christum] non valente contingere, domina Paupertas [...] te plus quam unquam fuit strictius amplexata»).

Né va dimenticato – nella storia della ricezione della Commedia – che la lezione salse, accolta e chiosata dal Landino, fu quella letta e meditata nella Firenze di fine Quattrocento, nel nuovo mito del pauperismo profetico predicato dal Savonarola. Soprattutto l’estremo, "crudo" e "costante" e "feroce", pauperismo dantesco è la cifra più profonda della Commedia, se è vero che il canto di Francesco è seguito dall’invettiva di Cacciaguida sul lusso della Firenze di Dante e sulla sobrietà di quella antica («Bellincion Berti vid’io andar cinto / di cuoio e d’osso»: Par XV, 112-113); e sin al sommo del Paradiso, con la requisitoria di Beatrice: «Di questo ingrassa il porco sant’Antonio, / e altri assai che sono ancor più porci, / pagando di moneta sanza conio» (Par XXIX, 124-126) e la terribile apostrofe elevata da san Pietro: «In vesta di pastor lupi rapaci / si veggon di qua su per tutti i paschi: / o difesa di Dio, perché pur giaci?» (Par XXVII, 55-57).+

In fondo, Dante s’inscrive in quella corrente, mai doma, inaugurata da san Francesco, e dalla sua morte consacrata, nella quale fiorisce l’amor paupertatis, come dirà san Bernardo: «Non enim paupertas virtus reputatur, sed paupertatis amor» (Epistolae, in PL, 182, 235D) e compendierà infine, nel Novecento, Chesterton: «Un’altra corrente d’ispirazione spirituale, completamente diversa, deriva in gran parte da lui: tutta quella energia riformante dei tempi medievali e moderni che risale al tema del Deus est Deus pauperum. [...] Né sul piano artistico, né su quello sociale si potrebbe dire che tali cose siano esistite prima di lui; ed è ancora perfettamente vero che non possiamo nemmeno immaginarle senza di lui, da quando visse e trasformò il mondo» (Francesco d’Assisi, 1938).

Terzine eponime

Ma perch’io non proceda troppo chiuso,​
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.

La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi.

(Paradiso,XI, 73-78) ​​

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