venerdì 26 marzo 2021
Papa Francesco ci ricorda che il sommo Poeta è profeta di speranza perché invita appassionatamente l’umanità a deporre l’egoismo che rende il nostro mondo «l’aiuola che ci fa tanto feroci»
Dante dipinto da Raffaello nelle Stanze vaticane nella scena del Parnaso

Dante dipinto da Raffaello nelle Stanze vaticane nella scena del Parnaso - WikiCommons

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Chi visita i Musei Vaticani, oltre alla Cappella Sistina, meta obbligatoria, non tralascia di transitare per un altro luogo di eccezionale bellezza, le cosiddette Stanze di Raffaello, poste nel cuore del Palazzo Apostolico. Tra queste di particolare rilevanza quella detta della Segnatura, voluta da papa Giulio II come studio e biblioteca personale, affrescata da Raffaello a partire dal 1508. Proprio qui, in questo spazio davvero speciale, si trovano ben due ritratti di Dante Alighieri.

Nella decorazione pittorica, il cui programma iconografico fu ideato probabilmente dallo stesso Pontefice e dai suoi teologi, e realizzata dal grande genio del Rinascimento per illustrare proprio il patrimonio culturale rappresentato dalle diverse collane di libri e preziosi codici raccolti nella stanza, spicca, innanzitutto, la parete su cui è rappresentata la cosiddetta Disputa del SS. Sacramento, dipinta nel 1509. Gli affreschi delle diverse pareti dovevano rappresentare il Vero, il Bene e il Bello. Il Vero frutto della ragione e dell’intelligenza umana è illustrato nel celebre affresco conosciuto come Scuola di Atene, mentre il Vero trascendente, divino e rivelato è illustrato proprio dalla Disputa, in realtà una sintesi visiva straordinaria della rivelazione trinitaria accolta dalla Chiesa trionfante e da quella militante. Proprio in quest’ultimo contesto spicca la figura maestosa e fiera di Dante Alighieri. Si tratta di uno dei ritratti più famosi. Il Sommo Poeta è collocato sulla destra, ed è inserito dopo i grandi Padri della Chiesa e teologi: Ambrogio, Agostino, Tommaso d’Aquino, Innocenzo III, Bonaventura. Alle spalle di Sisto IV, ecco il volto austero e solenne di Dante, ritratto di profilo, col capo cinto da una corona d’alloro.

La collocazione non è casuale, ma voluta e significativa. Dante Alighieri è qui caratterizzato come il Poeta (è cinto dalla corona d’alloro) che più di altri ha saputo “raccontare Dio”, ha comunicato la Verità trascendente, percorrendo la via pulchritudinis, la via della bellezza della poesia, dell’arte, perché quella Verità potesse essere ascoltata e accolta da tutti, grazie anche all’uso della lingua volgare, la lingua del popolo. Per ribadire la sua dignità di Sommo Poeta, oltre che di riconosciuto teologo e “narratore di Dio”, Raffaello ritrae Dante anche in un altro celebre affresco della stessa Stanza, quello del Parnaso, che illustra proprio il Bello. Sulla cima del monte Parnaso si vede raffigurato Apollo circondato dalle nove Muse. Alla destra di Apollo spicca Omero, affiancato da Virgilio e Dante, dipinto a figura intera e di profilo, sempre con il capo cinto della corona di alloro. Dante, dunque, di casa in Vaticano, nel cuore del Palazzo Apostolico.

Comprendiamo, allora, perché papa Francesco ha voluto onorare solennemente il Sommo Poeta Dante Alighieri nel VII centenario della morte pubblicando una Lettera apostolica, seguendo così l’esempio dei suoi predecessori, come Benedetto XV e Paolo VI, i quali dedicarono a Dante, nelle ricorrenze centenarie, rispettivamente un’enciclica (In praeclara summorum) e una Lettera apostolica (Altissimi cantus). Anch’egli, ripercorrendo le tappe fondamentali della riflessione dei Pontefici dell’ultimo secolo sull’opera del Sommo Poeta, evidenzia il legame forte e indissolubile che lega Dante alla Chiesa e al magistero dei auccessori di Pietro. Anch’egli riafferma un dato di fatto, non sempre accolto e riconosciuto: «Nostro è Dante! Nostro, vogliamo dire della fede cattolica, nostro perché tutto spirante amore a Cristo e molto amò la Chiesa, di cui cantò le glorie, e nostro perché riconobbe e venerò nel Pontefice romano il Vicario di Cristo» (Paolo VI, Altissimi cantus). Il duplice ritratto di Raffaello è testimone di questo legame essenziale e vitale. Papa Francesco, con la sua Lettera apostolica, significativamente pubblicata il 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione, ci propone alcune sottolineature della personalità e dell’opera di Dante, evidentemente pensando alla situazione contemporanea e come messaggio rivolto soprattutto alle nuove generazioni.

Il Papa infatti, già all’inizio del documento, caratterizza l’Alighieri come «profeta di speranza e testimone del desiderio di infinito insito nel cuore dell’uomo», cioè come un viandante, un pellegrino della storia che non si arrende alle difficoltà, alle sfide, alla paura, o alle ingiustizie e ai soprusi dei prepotenti, ma continua coraggiosamente il suo viaggio animato da un desiderio insopprimibile di verità, di felicità, di giustizia e di pace. «L’alto disìo» anima tutte le tappe di quel cammino dell’umanità, di cui Dante si fa portavoce e interprete, e che viene genialmente e straordinariamente rappresentato nell’itinerario della Divina Commedia. Dante è davvero l’uomo del desiderio, l’uomo che comprende che la verità sull’esistenza umana si può svelare solo specchiandosi e immergendosi nell’immagine del volto di Dio che si fa carne nel Figlio («pinta della nostra effige; / per che ’l mio viso in lei tutto era messo», Par. XXXIII, 131-132). Il Papa ricorda, poi, che questa ricerca, animata dal desiderio e fondata sulla libertà e dignità di ogni persona, non può essere vissuta individualmente; Dante compie il suo cammino e giunge alla meta grazie ai suoi “compagni di viaggio”, a coloro che lo spronano e lo incoraggiano, specialmente nei passi più ardui e faticosi: Virgilio, Beatrice, Maria.

Di Dante Alighieri il Pontefice evidenzia particolarmente la missione, rivolta non solo ai contemporanei ma agli uomini e alle donne di ogni generazione, una missione di cui Dante è ben consapevole e che emerge continuamente nelle sue opere: «Bisogna dire brevemente che il fine del tutto e della parte è rimuovere i viventi in questa vita da uno stato di miseria e condurli a uno stato di felicità» scrive nella Lettera a Cangrande della Scala. Egli è profeta di speranza perché invita appassionatamente l’umanità a deporre l’egoismo che rende il nostro mondo «l’aiuola che ci fa tanto feroci» ( Par. XXII, 151), e a cercare ciò che, invece, promuove la vera umanità. Dante propone un cammino di vera liberazione, di umanizzazione, e ci offre tanti esempi, tante storie concrete di cambiamento, di trasformazione interiore prima che esteriore, non tralasciando di ricordare come la misericordia di Dio viene sempre incontro, a braccia aperte, a chi cerca di risollevarsi e riscattarsi, di rinascere a vita nuova.

Papa Francesco afferma, poi, che la “profezia”, la testimonianza di Dante interpella anche noi, nel presente, e non può essere dimenticata o trascurata, l’opera dantesca non può essere oggetto di studio fine a se stesso, ma costituisce un messaggio prezioso per tutti e per la Chiesa in particolare, contiene un appello sempre attuale a rivedere il proprio percorso di vita per ritrovare “la diritta via”, quella animata dal desiderio di vera felicità e che non ha sosta finché non giunge alla meta. Il Papa si rivolge, infine, significativamente sia ai docenti perché facilitino l’incontro dei giovani con Dante e la sua opera, sia agli artisti, perché accolgano e facciano proprio l’itinerario verso la bellezza percorso magistralmente da Dante Alighieri.

Ma l’invito e l’appello del Pontefice si rivolge soprattutto alle comunità cristiane, in tutte le componenti, perché riscoprano la grande e multiforme ricchezza dell’opera dantesca, considerata come uno scrigno prezioso a cui attingere parole di speranza e testimonianze di fede e di amore, estremamente importanti per il nostro tempo e per la nostra cultura, troppo spesso segnata dall’indifferenza e dalla noia, dal cinismo individualista e dal ripiegamento su se stessi. La compagnia di Dante, la sua parola profetica e “provoca-trice”, ci spinge dunque a “riveder le stelle” e a fare del nostro itinerario di vita un cammino in cui prevalga non l’egoismo ma il desiderio e l’amore, la vera forza dell’universo, giacché è solo «l’amor che move il sole e l’altre stelle» ( Par. XXXIII, 145).

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