giovedì 15 aprile 2021
Gli sportivi mettono all'asta le medaglie vinte per finanziare l'opposizione al presidente Lukashenko: dopo le proteste di piazza, il carcere e le torture, la battaglia continua
Le proteste di piazza a Minsk lo scorso agosto contro la rielezione del presidente Lukashenko

Le proteste di piazza a Minsk lo scorso agosto contro la rielezione del presidente Lukashenko - Ansa/Epa

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Una medaglia d’oro in cambio della libertà. Se fosse così semplice la Bielorussia sarebbe già fuori dall’incubo comunista del suo autoritario presidente, Aleksandr Lukashenko. Sono già tanti infatti gli atleti che hanno messo all’asta i loro allori pur di liberarsi dall’ultimo dittatore d’Europa.

Eppure gli sportivi bielorussi non mollano e questa volta è stata l’ex nuotatrice Aliaksandra Herasimenja a vendere l’oro vinto ai mondiali 2012 per raccogliere fondi a sostegno dell’opposizione che affronta la repressione del regime post-sovietico. Herasimenja, 35 anni, ha lanciato la Belarusian Sports Solidarity Foundation (Bssf) lo scorso agosto, durante il movimento di protesta senza precedenti contro la contestata rielezione di Lukashenko, al potere ininterrottamente dal 1994. La fondazione supporta gli atleti finiti nel mirino delle autorità. La medaglia dell’ex nuotatrice ha fruttato circa 13.500 euro: «Voglio sostenere tutti i bielorussi, dare loro il 100% di fiducia».

Herasimenja, rifugiata in Lituania, è accusata di «azioni volte a nuocere alla sicurezza nazionale della Bielorussia» e rischia cinque anni di carcere. Il grande movimento di protesta ha riunito per mesi migliaia di persone a Minsk e in altre città prima di essere soffocato con arresti massicci e migliaia di denunce di tortura. Quasi tutti gli esponenti dell’opposizione sono stati arrestati o costretti all’esilio e tra questi anche religiosi e personalità cattoliche. Gli atleti critici verso il regime sono stati espulsi dalla squadra per le Olimpiadi di Tokyo.

Herasimenja, medaglia d’argento e di bronzo olimpica, ritiratasi nel 2019, chiede al Comitato olimpico internazionale (Cio) di vietare alla Bielorussia di partecipare ai Giochi. Per ora il Cio ha già sospeso il Paese e gli atleti bielorussi potranno esserci ma senza inno e sotto la bandiera olimpica. Per tutta risposta Lukashenko, ha ceduto il timone del Comitato olimpico bielorusso al figlio Viktor. Una decisione che suona come l’ennesima sfida da parte del leader nostalgico dell’Unione Sovietica, impegnato a tenere in piedi tutti i miti dell’Urss compresi i servizi segreti chiamati ancora Kgb.

Nonostante tutto gli sportivi “ribelli” continuano a crescere e oggi sono più di duemila quelli che hanno firmato l’appello in rete “Sos by”. Spiccano le donne, non solo Herasimenja, anche la sciatrice Anna Guskova, la ginnasta Anna Glazkova e Katsiaryna Snytsina la capitana della nazionale di basket. Anche lei ha messo all’asta le medaglie: «Non si può celebrare lo sport o giocare una partita mentre le persone vengono inghiottite dalle prigioni e scompaiono».

E come dimenticare un’altra cestista Yelena Leuchanka, incarcerata per 15 giorni nelle prigioni di Minsk, che ha raccontato di aver dormito su fredde sbarre di metallo, in isolamento, senza acqua calda né ore d’aria. «Ma non ho rimpianti» ha tuonato Leuchanka, «la cosa più orribile è che sono finita in prigione non perché ho commesso un crimine ma perché stavo combattendo per la libertà. E mentre ero in carcere ero fiera di essere finita lì per quel motivo. E anche le persone, le donne che erano lì con me non si sono mai pentite, continueranno a combattere e a protestare perché questa è la partita più importante per la Bielorussia».




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