sabato 10 febbraio 2018
Il cantautore: «Con “Passame er sale” riscopro il valore di una parlata che racchiude il senso di una intimità familiare e le radici di una comunità e di una città oltraggiata oltre le proprie colp
Luca Barbarossa tra Roma e la famiglia, patrimoni da salvare
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«Passame er sale… passame er vino…, un’amica che ha letto il testo della canzone mi ha detto: ho capito, tu sei il classico uomo che a casa non fa niente», sorride, la moglie di Luca Barbarossa, la franco-catalana Ingrid. Ironia sagace, gustosa come uno spaghetto cacio e pepe, quella del cantautore romano che al Festival ha proposto una romantica, quanto antropologica («parola un po’ troppo colta per uno che scrive testi semplici come me»), Passame er sale. Il 19enne che si presentò al Festival con Roma spogliata (titolo allora edulcorato rispetto all’originale) ora è uno splendido 56enne. L’eterno pischello che a Sanremo “ricantò” la sua città inVia Margutta. «Era il Festival del 1986 e mi piazzai agli ultimi posti, ma è una di quelle canzoni rimasta nella testa della gente…», ricorda con il sorriso di chi da sempre coltiva quella leggerezza sobria ed elegante, che da quasi un decennio trasmette nella trasmissione radiofonica della Rai, Radio 2 Social Club («la mia seconda famiglia»). La musica è la prima passione che non ha mai abbandonato dai tempi in cui era un «cantante di strada» e ieri come oggi si esprime nella lingua materna, il romano. Idioma delle radici che caratterizza integralmente il nuovo album, Roma è de tutti. «Il romano è una cadenza. Perché canto in dialetto mi continuano a chiedere? Mah, io credo che nessuno avrebbe mai domandato a Pino Daniele “perché canti in napoletano?”. Il dialetto è una lingua che apre agli altri, e in questo caso il romano (romanesco) è un valore aggiunto di inclusione. La pigrizia verbale, che è la cifra della parlata romana, mi permette con queste canzoni di portare il pubblico nell’intimità e farlo accomodare a casa mia. È questo il senso di Roma è de tutti ».

Tornare al dialetto anche per tratteggiare un’immagine diversa di una città oltraggiata, derisa, ormai dipinta solo con le tinte fosche di un romanzo criminale, prigioniera dell’etichetta maligna di “mafia capitale”. «Roma è senza dubbio una città ferita ma speriamo anche in via di guarigione: le diagnosi impietose sono state fatte, i suoi mali sono radicati. Hanno sbagliato in molti, cittadini compresi, però la consapevolezza di aver capito qual è l’origine della malattia potrebbe indicarci presto la cura». Roma si discute, si ama e non si lascia mai. «È il pensiero condiviso con il regista Luigi Magni. Prima che se ne andasse via per sempre, nel 2103. Gigi aveva mani-festato, come tanti romani, quel “finto” desiderio di fuga. “Me so’ stufato de Roma”, diceva. Così, quasi per scherzo avevamo buttato giù un testo che per anni era rimasto nel cassetto e adesso con Via da Roma è diventato musica e parole». Impossibile abbandonare «un sogno, un teatro a cielo aperto. Roma rimane la città più bella del mondo e io la ringrazio dei tanti momenti belli e delle emozioni che mi regala ancora. Anche nelle innumerevoli difficoltà si sono conservati spazi vitali e un modo di prendersi un’oretta di pausa, rispetto al protocollo rigido e ingessato delle città del nord Europa dove tutto ormai è formattato.

A Roma come a Napoli esistono dei fuori programma che diventano momenti di creatività artistica e anche di riposo mentale che difficilmente si possono ritrovare in altri luoghi». Il riposo a Roma diventa La pennica. «Chiude l’occhi ’na mezz’ora bona, non servono pasticche o meditazione indiana, t’abbasta ave’ ’n divano ’na portrona», intona Barbarossa che inRoma è de tutti duetta con Fiorella Mannoia («grandissima cantante e grande romana») e con Mannarino («voce originalissima, uno che scrive canzoni profonde con testi in dialetto, quando vado ai suoi concerti prendo appunti») canta Madur, acronimo di «morte accidentale di un romano». «In Madur racconto la storia di un povero ragazzo di colore massacrato da un gruppo di delinquenti e alla fine si scopre che la vittima è l’unico vero romano. Un giovane, come tanti figli di stranieri, nato e cresciuto in questa città e in questo Paese dove troppo spesso si cerca il nemico nel diverso quando invece la vera minaccia si annida dentro casa. Vedi i tanti casi di violenza domestica, specie contro le donne».

Temi, violenza sulle donne e razzismo, che aveva già trattato ne L’amore rubato (Sanremo 1988) e inMandela, ispirato alle lettere dal carcere del leader sudafricano paladino dell’anti- apartheid. E il carcere, Rebibbia, Regina Coeli sono luoghi dove Barbarossa va a parlare e a tenere concerti. «So’ tutti uguali i giorni qui ar coeli / te sveji è come fosse ieri / fa freddo si fa freddo fa callo si fa callo / io qui c’ho perso er core aiutami a trovallo», canta nella struggente Se penso a te. Parole misurate, dell’uomo sensibile che quando vinse il Festival ’92, lo fece con una canzone dedicata alla mamma, Portami a ballare. L’amore per la famiglia è il filo conduttore che porta a Passame er sale, piccolo manifesto dell’amore coniugale. «È una dichiarazione d’amore a mia moglie, la mia ragione di vita con i nostri tre figli ( Valerio, Flavio e Margot). Stiamo insieme da vent’anni e racconto in parte la mia storia e quella di tante coppie che spesso, nel corso della relazione, di una piccola crepa fanno una voragine. Ma l’amore vero aiuta a ricostruire e a rimettere a posto le cose e ti fa dire ancora “ogni fiato, ogni passo che resta vojo fallo co’ te”. Bisogna avere il coraggio di piangere insieme e lo spirito per tornare a sorridere con la donna che si ama».

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