mercoledì 3 marzo 2021
Il fallimento della politica, la pandemia e la crisi economica obbligano i tradizionali partiti conservatori e di sinistra a ricollocarsi guardando alle neonate forze populiste
Ascesa (o declino?) dei populismi. Anche "progressisti"

Solinas

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Le conseguenze economiche, sociali, di crisi di leadership e crisi istituzionali della pandemia, stanno imprimendo, dentro molti sistemi politici occidentali, ristrutturazioni differenziate tra i principali partiti conservatori e anche quelli progressisti verso orizzonti di pragmatismo politico. La carica ideologica, confusionaria e, al tempo stesso, settaria delle formazioni populiste europee, che comunicava 'brividi e sentimenti', secondo superficiali letture sociologiche, sta perdendo il suo originario livore. Queste recenti esperienze, rivendicative di 'sovranità' nazionaliste e di utopismi socializzanti, misurandosi con le attuali e drammatiche richieste di vaste moltitudini sociali, si sono dimostrate incapaci di gestire i sofisticati stili di vita europei sconvolti negativamente, sia economicamente da gravi crisi depressive diffuse. I diversi populismi, storicamente, hanno svolto funzioni differenziate a seconda del contesto storico-sociale e geopolitico in cui si sono collocati. Ad esempio: una cosa sono stati i populismi in America Latina tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento, altra cosa è l’attuale, declinante, tendenza di forze 'sovraniste' in varie realtà europee come in Inghilterra, in Spagna e anche da noi in Italia.

Poderose esperienze populiste latinoamericane raccolsero - connotate da leadership carismatiche e anche demagogiche - spinte autentiche di giustizia sociale, di richieste di organizzazione per contare di più da parte di masse contadine e di sottoproletariato. Queste moltitudini, inurbandosi, si autotrasformavano in forza lavoro industriale, come è stato, appunto, in America Latina nel secolo precedente. Un’esperienza tra tutte, per estensione e ruolo, è stata quella del peronismo argentino tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento. Quell’esperienza di progressismo populista ha cercato, riuscendovi in buona misura, di promuovere le tante domande di inclusione sociale delle grandi moltitudini proletarie di immigrazione europea. Insomma lì, poi anche in vari altri contesti latinoamericani, crebbe una straordinaria leadership carismatica femminista della leader delle masse umili, Evita Peron, moglie, compagna di vita, del 'capo supremo' il generale Juan Domingo Peron. Evita fu la vera anima del populismo progressivo riformatore e anche attrezzato culturalmente con straordinarie presenze scientifiche come i sociologi Cooke e Aricò, il prestigioso editorialista Walsh, il grande regista Solanas. L’esperienza peronista - snobbata dalla sinistra argentina chiusa in un marxismo ossificato e in un azionismo borghese - organizzava ed educava un’estesissima forza lavoro industriale e contadina che, dagli anni Quaranta in poi, era cresciuta enormemente nelle grandi metropoli, innanzitutto Buenos Aires. Tutto ciò in un preciso contesto di vuoto storico e culturale che le forze socialcristiane e gli stessi comunisti argentini non avevano saputo analizzare.

Riempire 'vuoti politici' è sempre stato il ruolo delle differenziate esperienze populiste. Specialmente quando questi fenomeni sono segnati da caratteri riformatori. Si mettono al posto di sindacati e partiti storici della sinistra popolare. Tutto ciò si è accompagnato a dinamiche di 'mitologia politica' e di carismaticità 'verticalistica' nella direzione politica dei diffusi movimenti collettivi che i populismi suscitano, sia quando sono reazionari che progressisti. Però in Argentina, nelle differenti fasi storiche in cui il peronismo ha operato, si sono collegate molte energie culturali di orientamento gramsciano-popolare e di provenienze cristiane che hanno reso molto dignitoso quel lungo esperimento di populismo progressista sino ai giorni nostri. Con gravi cadute morali e di leadership, ma anche di riprese giovanili straordinarie e quantitativamente enormi. Protagonismi giovanili come avvenne nella seconda esperienza di governo del generale Peron, negli anni Settanta del secolo scorso. Dunque: contesti di 'terzo mondo', vuoti politici per vari motivi prodotti dalle forze classiche del progressismo locale, scarsa sedimentazione culturale, possono produrre esperimenti populisti di segno progressivo e che surrogano formazioni e simbologie culturali appartenenti a mondi riformatori che, per innumerevoli motivi, erano declinati.

Tutt’altra cosa sono le attuali versioni populiste-progressiste in differenti Paesi europei. Vorrebbero, in questi anni, sostituirsi ai diffusi errori di battaglie politiche delle forze centriste e di sinistra che tutti abbiamo visto fallire, negli ultimi vent’anni, specialmente qui in Italia. Ma è imparagonabile il contesto storico-sociologico in cui operano le forze populiste sia reazionarie sia progressiste rispetto alle esperienze carismatiche del secolo passato, in continenti 'terzomondiali' degli anni Cinquanta-Settanta. I vuoti lasciati scoperti dalle storiche battaglie politiche sia delle forze centriste e di sinistra che riformiste europee, sono una combinazione di abbandono di presenza negli strati subalterni ed emarginati con l’acquisizione, invece, di elementi di ideologie liberiste e libertarie che non hanno connotato le esperienze, tutto sommato positive, dei populismi latino americani progressisti del Novecento. Poi, come già hanno sottolineato sia Tronti che De Giovanni, le esperienze populiste 'progressiste' qui in Europa vorrebbero riportare all’ordine del giorno il peggio delle tradizioni delle sinistre storiche europee: paroloni demagogici, nessuna analisi differenziata delle dinamiche complesse di una società digitale e di intelligenza artificiale, che ha necessità di crescita concreta finanziata da banche centrali oltre che da multinazionali, caratteri settari nei comportamenti politici, incitazione all’odio verso il 'nemico politico', filo arabismo mediterraneo. Il peggio che offra oggi il 'mercato politico' europeo.

In Europa, oggi, le dinamiche collettive si dispiegano con tali carenze di leadership, serie e colte, che è quasi naturale che si creino vuoti culturali. Tanto da aver necessità di cercare aperture verso ’lidi’ populisti progressisti. Questa fotografia dello stato subalterno delle sinistre democratiche non si può risolvere semplicemente opponendosi alle destre reazionarie e populiste con semplicistici 'schieramenti di alleanze'. Sarebbero necessari approfondimenti di comuni visioni su quali profili antropologici e societari si propongono alleanze comuni, se vi sono convergenze autentiche rispetto allo sviluppo socio-ecologico, alle dinamiche dei futuri megatrends sulle grandi infrastrutture, sulle dinamiche geopolitiche e demografiche. Insomma ci troviamo, a breve termine, ad affrontare una colossale ristrutturazione del capitalismo globalizzato che ha fallito la sua missione di riduzione delle disuguaglianze.

La difficoltà da affrontare è come mitigarlo e piegarlo a prospettive di governabilità solidale e decisionale rapida con un ritorno 'in grande' di politiche keynesiane di redistribuzione del reddito. Ci vuole attenzione nell’approccio, gradualità nelle convergenze e, specialmente, un lungo e selettivo dialogo che individui il creativo nuovo personale giovanile e politico di provenienza popu-lista, innestandolo nel grande alveo storico delle culture riformatrici europee che hanno creato, dal secondo dopoguerra in poi, le dominanti delle esperienze democratiche nel nostro Continente e nella formazione delle élites giovanili politiche e professionali. Spesso le accelerazioni nei processi sociologici di fusione sociale, spiegava Sartre ai giovani leader extraparlamentari, in attente e grandi assemblee alla Sorbona nel ’68, possono produrre caterve di illusioni culturali e politiche.

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