martedì 25 ottobre 2016
La crisi dell'arte liturgica chiede una nuova lettura del mistero di Dio capace di fondere modernità e figurazione
Una delle opere di Safet Zec nella mostra del Palazzo Apostolico di Loreto

Una delle opere di Safet Zec nella mostra del Palazzo Apostolico di Loreto

COMMENTA E CONDIVIDI

La mostra allestita alle Cantine del Bramante del Palazzo Apostolico a Loreto, con opere dell’artista bosniaco Safet Zec dal titolo Il pane della misericordia e declinata nelle sezioni "mani per il pane", "mani per la preghiera" e "tre pezzi di pane", s’incentra su temi eucaristici. Il pittore, segnato dalla violenza scatenatasi nella sua terra in questi ultimi anni, s’ispira da un lato all’armonia della tradizione classica, dall’altro alla tragedia del suo popolo, di cui è diretto testimone. Con sicurezza linguistica, il suo tocco rapido e veloce crea immagini di grande potenza espressiva, riportandoci in spazi altamente drammatici. In un momento in cui l’arte liturgica rischia di esaurirsi in un’esausta figurazione, dai tratti vuoti e nostalgici, Safet Zec propone una figurazione sincera che ben può inserirsi in contesti liturgici. In questo senso, almeno nel panorama italiano, il pittore è un caso abbastanza isolato, anche se non mancano artisti figurativi che si sono cimentati in temi sacri come, per esempio, il romano Marcello Mondazzi o, anche se con un linguaggio che afferisce maggiormente a un simbolico ancestrale, Mimmo Paladino. Il problema sorge nel momento in cui molti linguaggi del Novecento, a partire dalle Avanguardie storiche, non fanno più riferimento alla figurazione, all’arte come mimesi del mondo, imitazione delle forme naturali.

Se il Novecento, esplorando diverse forme e linguaggi, ha segnato la fine della rappresentazione tradizionale, estenuata nella declinazione dei lessici rinascimentali e barocchi, in che modo queste nuove strade espressive possono esprimere il mistero di Dio? Se Dio si è incarnato nella storia, affermando in questo modo la possibilità di rappresentare Dio in Cristo, è possibile un’arte astratta in uno spazio liturgico? Se la dialettica astrazione/figurazione è stata più volte affrontata nell’arte e nella critica, da Malevic a Maldiney, mettendo a confronto un’arte come narrazione degli eventi da un lato e un’arte priva di diretti rimandi al reale dall’altro, il problema non è mai stato oggi ben tematizzato dal punto di vista ecclesiale. Il clamore suscitato anni fa dalle vetrate "astratte" di Gerard Richter per la cattedrale di Colonia che, per l’arcivescovo della città, avrebbero potuto essere benissimo collocate in una moschea, è in questo senso esemplare. Di fatto, più che dalla pittura, la figurazione nel Novecento sembra oggi essere declinata dalla fotografia, dal cinema o dalla video arte, le cui traduzioni dal punto di vista liturgico sono ancora del tutto da esplorare.In realtà, chiedersi se un’opera è astratta o figurativa, è un falso dilemma che dimentica il senso più profondo dell’immagine. Ogni forma infatti rende sempre presente qualcosa. Anche quando il soggetto non è figurativo, una creazione sorge all’essere. Una realtà è rappresentata. È presenza. Un campo semantico emerge, interrogando e interpellando lo spettatore.

La dialettica astrazione e figurazione è sempre esistita. Pensiamo semplicemente agli interni della cattedrale di Chartres o della Sainte Chapelle di Parigi. In uno splendido stile gotico, quando percorriamo le loro navate, ci accorgiamo immediatamente che le storie narrate nelle vetrate sono troppo lontane per essere identificate. Viviamo infatti l’esperienza di lasciarci illuminare dalla luce filtrata dalle vetrate colorate, proviamo la sensazione di percorrere la penombra di un bosco, affinché siamo diretti verso la parte più luminosa dell’edificio, l’abside, la Gerusalemme Celeste. Anche nelle chiese bizantine, come in San Marco a Venezia, se da un lato le pareti mosaicate sono ricche di immagini, dall’altro siamo prima di tutto colpiti dalla calda tonalità dell’oro che avvolge lo spazio, simbolo del divino. In breve, facciamo esperienza di una luce che è grazia. D’altronde, Cristo non è forse luce del mondo?Alcuni esempi architettonici nel Novecento esaltano questa intensa potenzialità simbolica dello spazio, in particolare modo nel mondo protestante, attraverso la luce. L’architettura è in questo caso chiamata a evocare la dimensione della trascendenza attraverso il chiaroscuro, il controllo del rapporto luce/ombra, la dimensione simbolica del colore.

Nel XX secolo si sono realizzati così ambienti che invitano alla preghiera, alla meditazione, senza l’inserzione di cicli iconografici o di immagini figurative, come nel caso della cappella di Ronchamps di Le Corbusier, o nella splendida Rothko Chapel a Houston. Nella cappella protestante, le immagini del grande artista ebreo mettono in scena attraverso il colore un mondo d’intensa espressività, con dipinti di colori cupi (come il nero opaco, il marrone, il viola scuro, solo un pannello fa emergere una zona rossa), in grado di creare un suggestivo spazio di silenzio, di pace, che invita alla meditazione interiore. L’installazione di Dan Flavin nella Chiesa di Rossa di Milano appare straordinaria nella sua capacità di inserirsi in uno spazio già storicizzato. L’artista americano propone un percorso simbolico, con un’illuminazione realizzata con semplici neon: azzurro per la navata, rosso per la crociera e giallo per l’abside. È il cammino dell’uomo nel suo nascere, nel suo accettare il sacrificio della croce, perché acceda alla risurrezione e alla gloria. Entrato nella chiesa, il fedele attraversa questi spazi che alludono a un percorso verso la redenzione, la luce. La Chiesa Rossa è un esempio di come sia possibile pensare un’arte liturgica secondo i linguaggi contemporanei, attraverso il colore che si fa spazio, creando un luogo simbolico.

Gli esempi potrebbero continuare con gli splendidi ambienti di puro colore dell’artista abruzzese Ettore Spalletti concepiti come cappelle, o con l’obitorio di Garches, vicino a Parigi, sempre dello stesso autore, pensato come luogo "interreligioso", o con le recenti installazioni nella chiesa di San Fedele a Milano di David Simpson e di Nicola De Maria… Figurazione o astrazione? Probabilmente si tratta di coniugare entrambe le strade. Se la prima mette in scena il mistero di Dio nella storia, la seconda crea spazi ambientali di alto valore simbolico ed espressivo. Perché non pensare a una loro integrazione, alla ricerca di una "buona" arte liturgica, che permetta di incontrare il Dio della vita, nelle diverse forme espressive? È questo un auspicio, visti i troppi "pessimi" esempi di… arte liturgica contemporanea che continuano a ferire le nostre chiese.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: