domenica 7 marzo 2021
Il cantante e performer protagonista di cinque criptici cosiddetti “quadri” sul palco dell'Ariston, tra i “like” di adoranti fan e il sospetto di molti di un clamoroso bluff pseudo-artistico
Achille Lauro in una delle sue coreografie musicali sul palco dell'Ariston

Achille Lauro in una delle sue coreografie musicali sul palco dell'Ariston - Fotogramma

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La banalità del malessere sanremese ha un nome e cognome, d’arte ovviamente, Achille Lauro. Dopo aver assistito ai 5 minishow dello Ziggy Stardust de noantri (scusalo David Bowie) il concetto di artista va rivisto, e forse corretto. Renato Zero potrebbe anche portarlo in giudizio per plagio: i suoi "quadri" e i travestimenti sono parsi robivecchi da archivio di Zerolandia, compresi gli abiti e gli accessori usciti direttamente dal guardaroba di Renato Fiacchini. Zero, è uno che la fame e il pregiudizio negli anni ’70 li ha subiti sul serio. Il giudizio su Achille Lauro l’ha dato il celentanide Ibrahimovic (in fuori gioco anche lui in questo Festival): «Lo mettiamo in garage a controllare le macchine così ladri non entrano che hanno paura di lui».

Il nosferatu di questa Sanremo horror pictures si è barricato per giorni nella casa in collina, girando di notte con le anime perse della sua factory coatta a bordo di un van grigio, riconoscibile dalla scritta sulle fiancate "Achille Lauro". Da un sondaggio personale effettuato su campioni più attendibili di quelli della Rai social club, alla domanda «chi è per voi il rap-trap videoart romano?» la risposta unanime è stata «un Personaggio!». Dopo averlo visto uscire dalla cornice del suo ultimo quadro e aver annunciato che «ama la moda, l’arte, produrre la musica sua e quella degli altri... e anche vivere», pensiamo che l’Achille Lauro sia una giovane holding, dove quello che conta è scippare emozioni a un pubblico credulone e macinare il maggior numero di consensi social (5mila twitter al minuto), immediatamente tradotti in milioni di euro di fatturato. Per questo ringrazia il cielo con il suo assurdo mantra, «Dio benedica chi se ne frega e gli incompresi».

Sarà un nostro tallone d’Achille, ma non lo comprendiamo il trasformista dell’etere che, complice il vecchio zio Fiore – lo ha stancamente spalleggiato – ha abbattuto tutti i generi (in coda a Sanremo tra i predicatori dell’amore libero) e affondato, con lui, anche quelli della musica. Già, la musica... Una volta, neppure tanto tempo fa, prima di tutto si ascoltava, adesso invece Lauro ci insegna che «la musica va vista e che ci sono notti di lavoro e riunioni interminabili dietro a ogni mio quadro».

L’universo social inneggia all’«Achille rivoluzionario». Celebrare le rockstar suicide o quelli che lui chiama «incompresi» e che in realtà sono per lo più sognatori, ribelli e fuggitivi della generazione dei suoi genitori, lo rende al massimo un personaggio, come tanti di questa intronata routine del cantar leggero. E siccome il tempo è galantuomo, allora al tempo chiediamo: ma Achille Lauro fra trent’anni sarà un Paul Gascoigne del nostro piccolo mondo antico sanremese o un vero artista, magari il Renato Zero del 2050? Ai suoi "poster", pardon quadri, l’ardua sentenza. C’est la vie, caro Achille.

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