venerdì 17 maggio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Difficile trovare persona in cui convivano locale e globale più di Paolo Fresu. Partito dalla Sardegna 30 anni fa, ha suonato la sua tromba in tutto il mondo. E nella natale Berchidda la riporta ogni estate dal 1988 con Time in Jazz, festival (il prossimo sarà dall’8 al 16 agosto) che richiama nel piccolo centro gallurese migliaia di appassionati da tutto il mondo. Riuscendo a rilanciare un territorio oltre gli stereotipi.Dai villaggi di pastori ai villaggi vacanze: cos’è la Sardegna oltre i luoghi comuni?La Sardegna è molto più complessa di quanto si crede. "Quasi un continente" la definiva negli anni 60 Marcello Serra. Io direi che in realtà è un vero continente. Quest’isola contiene storie, lingue, visi, problemi molto vasti. Per la sua posizione in mezzo al Mediterraneo è stata invasa da tutti: dai fenici ai mori ai piemontesi. Eventi che però, stratificati, ne sono divenuti la ricchezza. Oggi le difficoltà sono tante: la pastorizia è in grave crisi, la disoccupazione è allarmante, a partire dal dramma del Sulcis, senza contare le servitù militari e la Maddalena dopo il G8. Eppure quest’isola è davvero uno dei paradisi del mondo. Non solo per le coste, su cui si arenano quasi tutte le attenzioni, ma anche per un interno poco noto ed emozionante, ricco di storie, di tradizioni, di culture gastronomiche. La Sardegna è un luogo dal potenziale incredibile, in cui sperimentare un modello di sviluppo basato sulla cultura.Una sorta di isola-laboratorio?Sì, per il futuro dell’Italia. La Sardegna ha in sé tutti i pregi e i difetti della Nazione. Purtroppo quest’isola è stata un laboratorio di prova per cose pessime, un luogo usurpato e da usurpare. Facciamolo per le migliori. Mi piace pensare alla Sardegna come una sorta di «server» che raccoglie le informazioni del Mediterraneo e le fa ripartire verso il mondo. L’insularità, l’elemento che fa gli isolani «diversi», può diventare l’elemento vincente: perché la diversità nel mondo moderno è il vero valore aggiunto.Cosa vuole dire «tradizione» in Sardegna?C’è una forte ambivalenza. La tradizione come necessaria ma semplice conservazione del passato può essere pericolosa, così come la sua riduzione a folklore. È la Sardegna che si lecca le ferite, chiusa in se stessa. C’è invece chi vive la tradizione come relazione tra passato e presente, memoria e contemporaneità, per dare un senso al proprio futuro: nella musica, nell’arte, nell’artigianato. È la Sardegna che si impegna nel sociale, che interpreta le ricchezze locali in modo nuovo, nelle leggi del mercato: una Sardegna per la quale una pecora non è un oggetto da mettere nella bandiera ma un elemento di crescita e ripensa la lana come materiale dell’edilizia sostenibile.Con Time in Jazz ha contribuito tra l’altro a riscoprire abbazie e basiliche dimenticate.Quest’isola ha sempre avuto rapporto forte con la sacralità. I luoghi del sacro, a partire da chiese come quelle di Saccargia, Tergu, Sant’Antioco di Bisarcio, sono la migliore rappresentazione della società sarda. Il sacro in Sardegna è il momento della condivisione, non è casuale che da anni portiamo i concerti in quei luoghi. La musica al loro interno diventa collante delle relazioni umane. In ognuno di questi concerti artisti e spettatori diventano una voce unica. È la conferma di come la musica è il linguaggio di Dio.​​​​​​​​
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: