martedì 10 febbraio 2015
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“A questo punto della mia carriera non ho niente da dimostrare”. Carlo Conti lo dice col sorriso ma ci crede veramente. Lui non deve dimostrare nulla. E infatti, per ora, sembra divertirsi molto a fare Sanremo. Il problema è che non è lui a dover dimostrare qualcosa ma è lo stesso Festival in qualche modo a “doverlo” e a volerlo fare. Cos’è oggi Sanremo? A chi interessa? Cosa rappresenta? Chi rappresenta? Conti ha le idee molto chiare in questo senso. E le dissemina nelle sue interviste e nelle conferenze stampa di ogni giorno. “Il nostro Sanremo è per la provincia italiana. Per coloro che si alzano tutte le mattine per andare a lavorare”. Per la gente normale, verrebbe da aggiungere. Già: l’Italia è fatta soprattutto dai Paesi. E complice la crisi, il pubblico si sta dividendo in due grandi gruppi. Se alcuni vivono attaccati al web e a Sky la maggioranza guarda ancora le tv generaliste. E mentre su twitter volano i commenti su House of cards o Blacklist, nella vita reale si parla ancora di Magalli, Mara Venier e Barbara D’Urso. Così, dopo avere sperimentato con Fazio, la Rai torna al tradizionale. Di più: partendo dalla gente normale (“quella che si alza ogni mattina per andare a lavorare”) cerca di accontentare tutti. Meglio: cerca di non scontentare (troppo) tutti. Al Bano e Romina che cantano Felicità sono l’emblema di questo Sanremo. Anche chi non li ha mai amati, conosce a memoria le loro canzoni. Sa dei loro guai e dei loro successi. Lo sanno in Italia e lo sanno molto bene in quella grande parte del mondo che segue ancora Sanremo (chiedetelo ai corrispondenti delle tv e delle radio dell’Est calati in Riviera per il Festival). Conti è perfetto per questa operazione. È il conduttore della serenità. Quello che non scontenta nessuno. Porta sul palco la famiglia numerosa con cui parla della provvidenza, il medico di Emergency con cui parla di ebola, ricorda gli artisti scomparsi (Mando, Faletti, Daniele) ma anche i 50 anni dell’associazione italiana per la ricerca sul cancro, spende qualche secondo per la Giornata della memoria sulle foibe e per quella dedicata alla sicurezza dei minori su internet con la polizia italiana. Chiama in gara i Soliti idioti (Biggi e Mandelli, campioni cine-tv del trash) e strizza l’occhio al mondo gay con Platinette e Concita Wusrt. Al sito dei francescani fa sapere che il suo sarà un Sanremo di “semplicità e amore” e , se glielo avessero chiesto, avrebbe detto qualcosa di carino anche al sito dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. Conti e il suo Sanremo hanno capito che la semplicità è l’arma vincente. Ringraziano tutti, non scontentano nessuno. Dicono che Sanremo è una città magnifica e ospitale, che i fiori sono stupendi, che la gente è fantastica. Se Bordighera lo chiedesse, avrebbero una buona parola anche per lei. Per spiegare perché hanno tagliato il Dopofestival, Conti dice “dopo la genialità di Pif dell’anno scorso non potevamo fare di più”. A chi gli chiede se teme di più lo spettro di Baudo o di Fiorello, risponde che “sono grandi amici e grandi professionisti”. Paura delle critiche? “Sarebbe già un successo avere il 50% dei consensi, le critiche fanno parte del gioco”. Ad un c erto punto a Conti scappa un no. Ma è solo un attimo. Dice “No”. Ma subito dopo aggiunge col sorriso: “Non stasera”. Qualcuno teme un crollo. Ma poi gli spiegano: intendeva dire che stasera non si collegherà con l'astronauta Samantha Cristoforetti dalla Stazione spaziale internazionale. Per un attimo avevamo temuto il peggio. A Sanremo quest’anno vanno di moda sorrisi e serenità. E si accontenta tutti. Chi prepara i fiori che addobbano il tavolo della conferenza stampa come (entro sabato siamo sicuri che lo faranno) chi pulisce il teatro Ariston. In fondo è questa l’Italia vera, quella che si alza tutte le mattine e che ama il Festival. Dopo anni di polemiche e di liti quella di quest’anno potrebbe essere un’idea “rivoluzionaria”. Domani sapremo se è piaciuta anche all’auditel.
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