lunedì 13 luglio 2015
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Lo sport è anche attività spirituale. Gli atleti che si recavano alle Olimpiadi, i migliori di ogni polis, gareggiavano per il puro scopo dell’onore e della gloria. Per loro era stata sospesa ogni guerra. Il premio, i versi dei poeti e una corona d’alloro. Anche con la trasformazione della società, e con la progressiva professionalizzazione dello sport, la sua anima non è mutata. La poesia è poesia quando è cantata dall’aedo accompagnato dalla lira, scritta su pergamena e poi su carta, poi al computer, recitata in radio o incisa su vinile o cd. Cambia l’abito, non l’anima. Ho scelto campioni di ieri, ancora giovani ma vincitori in un recente passato, modelli di virtù. Disciplina, passione, sacrificio. Ma insieme gioia, ebbrezza dell’anima. Per me, italiano, sportivo, appassionato, gloria. Ho incontrato quelli che mi fecero piangere di commozione, alzandomi in piedi, ovunque fossi, per ascoltare l’inno di Mameli al loro trionfo. Partecipe. In piedi. Che nomi, da elenco omerico: Belmondo, Abbagnale, Calligaris, Chechi, Damilano, Dibiasi. Non in ordine alfabetico, né di cavalleria: in ordine poetico, metrico, come si deve con i nomi che fanno poesia. Con tutti, compresa Stefania Belmondo che è mia amica da tempo (colpa di una poesia che le dedicai per il suo trionfo a Falun), ho provato una sensazione di imbarazzo: come è possibile che campioni così grandi siano così umili? Che cosa li ha spinti, che ascesi inconosciuta e indicibile? E, accanto all’imbarazzo, una sensazione di pienezza: mi sentivo con loro, a convivio con i campioni. Figure che accendono, accanto a quelle degli eroi e dei maestri, la fantasia di un ragazzo che sognava di diventare poeta.Il tuffatore è una figura impressa nel nostro inconscio, una forma divenuta, nel tempo, archetipo: quella figura nera protesa su un trampolino è passata dai vasi micenei in cui spicca, alla nostra memoria inconscia. Così l’atleta corrente come un cavallo rievoca Ulisse nella gara con i Feaci, e l’immagine dell’arciere analogamente riporta la figura dell’eroe sterminante i Proci alla corte di Itaca: anche chi non ha letto i classici ne conosce le figure mitiche. Il velocista, l’arciere, il tuffatore, ma anche il saltatore, il lottatore, figure che dal patrimonio del mondo greco si imprimono nel nostro Dna. Le discipline della neve non hanno alcuna parentela con quelle nate nella luce mediterranea del Peloponneso. Nascono dai boschi del Nord, da terre fredde e perennemente innevate, da un’altra mitologia, che vede fate apparire all’improvviso tra gli abeti e i larici, dalle folate di neve, come sogni ventosi. Il mondo scandinavo è la culla di queste figure mitiche, a questo mondo attinge il grande Andersen scrivendo uno dei suoi capolavori, La regina della neve. Seppur radicalmente diversa da quella di Andersen, parente delle streghe, anche l’Italia ha una Regina della neve, nel senso più buono del termine. In un mondo dominato da scandinavi, russi, finlandesi, una delle più grandi di ogni tempo, è italiana. Bionda, ma non tipo scandinavo. Piccola, snella, occhi ridenti e luminosi. Dieci medaglie olimpiche, tredici mondiali, il dominio in una specialità non italiana e non alpina.Domanda semplice, e forse difficile: ci può descrivere il suo rapporto con la neve?«Un rapporto che non si può esprimere con la parola amore, ma appartiene a quella sfera… Un rapporto, il mio, di grande legame con la neve, che per me è stato il mezzo, oltre agli sci, con cui sono riuscita esprimere meglio me stessa. Sulla neve avevo il giudizio del risultato, e in tal modo potevo esprimere quanto avevo dentro. Massima espressione di libertà, pace, passione: sono parti della mia anima che senza neve sarebbero rimaste inespresse». Allora la neve la incanta e la costringe a essere solo se stessa. «Lo sport mi ha dato la possibilità di vivere da sola, perché il mio è uno sport individuale. Non solo nell’albergo, ma sulle piste, a meno venti, in Finlandia, Scandinavia, animali selvatici, renne, lepri bianche, a volte un uomo che sciava apparendo all’improvviso e diceva “Hei”… Sentivo solo i miei sci che creavano questo piccolo rumore sulla neve. Non mi sentivo sola, sulla neve. O meglio, provavo una solitudine felice. Mi piace conoscere la gente, soprattutto le persone che mi possono dare tanto, però non ho paura della solitudine. Anzi, mi preoccupano non poco le persone che la temono davvero. Mi pare una forma di diffidenza verso se stessi».La neve consente di raggiungere una solitudine piena, armonia…«Sì, armonia, sentirsi a posto, non isolata, dagli altri. Ripeto, un mio modo di manifestarmi. Solo grazie alla solitudine puoi essere te stesso. E la solitudine ti consente di pensare».Sta parlando di questo aspetto un po’ mistico del suo rapporto con la neve, con la solitudine. Il misticismo non è solo quello verticale, assoluto dei monaci o di certi santi, ma una zona dell’anima potenziale in ogni essere umano. Ogni uomo, credo, abbia una parte di sé che potrebbe accendersi di entusiasmo mistico, magari per un breve istante. Insomma nella sua descrizione io credo di intravedere una sorta di ricerca metafisica, orizzontale, ma sempre tale… o sbaglio? «Io provavo gioia a fare fatica, naturalmente nulla di masochistico. Ma passione, che ti spinge in avanti, poi, accettare la fatica, e, infine, comprendere che tutta la fatica “prima”, preparatoria, di allenamento, significa minor fatica “dopo”, quando non una sola energia deve andare sprecata. La fatica dell’allenamento è diversa dalla fatica in gara, è una vera preparazione. Accetti e comprendi che solo con la fatica si ottiene il risultato».Per aspera ad astra«Letterale. Le parrà strano, ma, da quando mi sono ritirata, nel poco tempo che ho, corro, in salita. Se andassi in piano non varrebbe nulla: se non vado in salita, non ha senso. Sopra ogni cosa la passione. E con la passione la fatica, la fatica, che diventa un bisogno. Io devo faticare. Ma la vittoria era volare. Letteralmente volare. A volte nevicava, io volavo nella neve».Finora ha sempre parlato della sua esperienza individuale, anche riferendosi alla gara, o alla fatica. Ha usato il termine “risultato”, senza il quale gareggiare, e soffrire, non ha senso. O meglio: lo scopo di ogni atleta è il risultato. Ma lei finora non ha parlato di competizione, agonismo, come se il suo risultato fosse conseguibile con o contro se stessa… Ha parlato di neve, fatica e solitudine, come se fosse un’esperienza mistica e solitaria, tipo un alpinista d’antan, spinta ascensionale, vetta. Lei, essendo uno dei più grandi campioni del suo sport, sembra eludere l’avversario, quasi la competizione fosse con se stessa…«È così, fondamentalmente. Poi, meno male che esiste l’avversario, senza il quale non esisterei io. Meno male che c’erano gli avversari. Se non ci fosse stata la Välbe, per me la migliore di tutti i tempi, nessuno si ricorderebbe delle mie battaglie con lei. O una o l’altra. Io ho perso un mondiale contro di lei. Arrivammo insieme. Sul tabellone comparve che aveva vinto Belmondo, Välbe seconda. Dopo qualche minuto cambiarono: lei era arrivata prima». Come fu possibile?«Normale, nel nostro sport, a certi livelli. Avevamo raggiunto lo stesso tempo. Identico. La foto mostrò che lei era un millimetro avanti a me. Forse meno di un millimetro».Non vale, la Välbe è più alta… Io sono nato a Cuneo, faccio fondo sulle piste rese sacre da Stefania Belmondo, non vale…«No [ride], era così, ma il tempo era identico. Non c’era il tempo».Non c’era il tempo. Annullato. Fuori dal tempo.«Ho pianto. Siamo diventate amiche, sono andata al suo matrimonio, in Siberia. Anni dopo, altro mondiale, io ho vinto la volata non nei confronti della Lazutina. Mi sono presa la rivincita. Avevo rotto il bastoncino, piangevo, sono ripartita, ho detto, Stefi hai perso un mondiale in Norvegia, stavolta non puoi perderlo, se no devi solo disprezzarti».Ha avuto la rivincita contro un’altra, anni dopo. Quindi la sconfitta non era contro un nemico ma un’altra parte di se stessa, e poi cercava unì altra parte di se stessa, per riscattarsi…«Sì, l’avversario è l’altra parte di me. E io la sua. La rivincita era con me, assoluta. In tutti gli aspetti della vita esiste sempre la rivincita: la giustizia alla fine si afferma, anche dopo sofferenze e sopportazione. Ho tanta pazienza, su tutto, io aspetto. Anche perché ho fede».In generale?«No, non in generale. In Dio. Io credo profondamente in Dio. Questo è alla base di tutto».
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