martedì 3 febbraio 2015
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La tecnica con cui è possibile sostituire il Dna all’interno dell’ovocita di una donna portatrice di una patologia geneticamente trasmissibile è legata al mitocondrio, la ‘centrale energetica’ delle cellule che produce l’energia necessaria alle funzioni vitali. Se questa centrale di energia ha un malfunzionamento e presenta delle alterazioni, nella fattispecie un difetto al Dna mitocondriale, è possibile che la madre, e solo lei, trasmetta ai figli malattie che coinvolgono il sistema nervoso e l’apparato muscolare. Questo perché, al momento della fecondazione, ciascun nuovo individuo riceve tutti i suoi mitocondri dalla cellula uovo e quindi dalla madre, (gli spermatozoi non forniscono alcun mitocondrio). Per sostituire i mitocondri con Dna mutato sono necessari tre individui di cui vengono combinati i gameti: la madre biologica, il padre biologico e una donatrice. L’uomo fornisce lo sperma, la madre il nucleo dell’ovocita e la seconda donna infine l’ovulo ‘sano’, ovvero una cellula uovo con tutti i suoi mitocondri ma a cui è stato rimosso il nucleo. Poiché negli ovociti i mitocondri si situano all’interno della cellula ma all’esterno del nucleo, il nucleo dell’ovulo della madre viene inserito all’interno della cellula uovo ‘sana’ della donatrice. A questo punto, l’ovulo viene fecondato in vitro con gli spermatozoi del padre e reimmesso nell’utero della madre per dare inizio alla gravidanza. Il patrimonio genetico del bambino così concepito non sarebbe composto al 100% dal Dna dei due genitori biologici, ma porterebbe in dote anche una quota compresa tra lo 0,1 e lo 0,2 per cento del Dna mitocondriale della donatrice. Anche se può sembrare una parte molto piccola, i geni presenti nel genoma del mitocondrio sono importanti per lo sviluppo e il metabolismo e, in modo indiretto, possono influenzare l’identità dell’individuo. Senza contare che, una volta manipolato il Dna dell’individuo, questa caratteristica diverrebbe trasmissibile ai suoi discendenti.

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