mercoledì 12 gennaio 2022
Scrivo questo articolo più tardi del solito, nell'attesa di una possibile ulteriore notizia sul caso Novak Djokovic. La partita non è chiusa e, proprio come nel tennis, un risultato che...
Riflettori per Djokovic. Lanterne Verdi per gli altri

Ansa

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Scrivo questo articolo più tardi del solito, nell'attesa di una possibile ulteriore notizia sul caso Novak Djokovic. La partita non è chiusa e, proprio come nel tennis, un risultato che sembra acquisito potrebbe improvvisamente cambiare. Tuttavia scrivo, perché non cambierà, per nulla, la mia posizione personale. Credo che chi ha dedicato la sua vita allo sport e chi si ne occupa nel rispetto dei suoi valori non possa esimersi dal chiarire la sua posizione riguardo all'affaire Djokovic.

Non voglio riferirmi ai mille lati oscuri di questa vicenda, alle tempistiche che non sono state rispettate, alle dichiarazioni vaghe, ai tanti silenzi che sembrano voler alimentare teatralmente un mistero. Non voglio riferirmi, anche se qui l'asticella si alza, alle spiegazioni che dovrebbe un personaggio pubblico rispetto agli eventi ai quali ha presenziato dopo la positività del 16 dicembre che è il motivo per cui "tecnicamente" il suo visto di ingresso è stato confermato dai giudici australiani. Cosa sarebbe meglio sperare? Che il test sia farlocco? Che abbia taciuto il risultato del test fino al momento di comparire dal giudice? Perfino "L'Equipe", che lo ha premiato, intervistato e fotografato in mezzo a decine di ragazzini il 18 dicembre ha posto inequivocabili richieste di chiarezza a lui e al suo staff, alle quali è seguito soltanto silenzio, anzi l'interruzione della conferenza stampa, organizzata dalla famiglia, proprio nel momento della domanda sulle sue apparizioni pubbliche in quei giorni.

A me interessa parlare di altro: le sue, peraltro già esplicite, posizioni no-vax. Chiare fin dai tempi di quell'Adria Tour organizzato dal Djokovic nel giugno del 2020, in barba alle norme anti-Covid e diventato focolaio di contagi, con successive, irritanti, scuse.
Novak Djokovic ha ottenuto (almeno fino al momento in cui scrivo) un legittimo diritto di entrare in Australia. Buon per lui, con tanti saluti a quei poveracci tenuti nello stesso hotel da anni, senza sollevazioni di popolo e senza cibo gluten free. Forse giocherà gli Open, forse li vincerà, perché, meglio di altri, piazza dritti, rovesci e volée su un campo da tennis. Se questo è un motivo per considerarlo un eroe, mi arrendo. Ognuno pensi come vuole ma, per cortesia, non lo si avvicini a campioni come Muhammad Alì, John Carlos, Tommie Smith o il nostro Gino Bartali. Tutti atleti che a rischio della propria carriera, o perfino della propria vita, hanno combattuto battaglie per rendere il mondo un posto migliore.

Al netto di paragoni blasfemi, sui quali neppure mi esprimo, siamo di fronte a un atleta che ha scelto di combattere sì, ma per difendere un principio individuale, e aggiungo profondamente egoistico, di non-azione rispetto a un problema per il quale, come ha detto il suo collega Rafa Nadal, «il mondo ha già sofferto abbastanza». Le sue dichiarazioni e le sue azioni no-vax sono più che sufficienti per costruirmi un'opinione e semmai vorrei vedere tanti altri campioni schierarsi a favore del vaccino con la stessa forza con la quale Djokovic si è speso contro. Nel frattempo, teniamo accesa la nostra Lanterna Verde per ricordare, che a differenza del tennista numero 1 della classifica Atp, al Park Hotel di Melbourne restano tante donne e uomini loro sì, in cerca disperata di un futuro più solidale e più giusto.

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