venerdì 3 gennaio 2020
Ho strappato e conservato giorni addietro un articolo apparso su Avvenire (del 28 dicembre) a firma della segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan, significativo e importante già dal titolo: “Alla scuola non basta un rimpasto governativo”. Mi è sembrato tanto lucido quanto accorato, di chi davvero si preoccupa per lo stato delle cose, e sappiamo bene che questo, nella nostra «classe dirigente», è davvero raro. Sarebbe bello servisse ad aprire una discussione seria sulla scuola italiana, che vivacchia malamente senza progetto e senza «meriti». Parlo dal di fuori, ma mi sembra che la scuola stia attraversando da decenni un periodo di accettazione e giustificazione del mondo com'è, e cioè di un mondo disastroso, rinunciando, col mondo, a una diversa idea di futuro e però anche senza uno sguardo lucido sul presente, senza altre preoccupazioni che siano quelle del giustificarlo. E in questo modo giustificare chi ne fa parte, giustificare le nostre viltà. Sarebbe opportuno ridiscutere tutto, a cominciare, credo, dallo stato dell'università, che un amico definisce aspramente un luogo dove dei chiacchieroni opportunisti e narcisi producono montagne di chiacchiere che addormentano invece di svegliare dei poveri studenti già istupiditi dalle scuole precedenti e dalle culture dominanti: dalle merci e in particolare da quell'immensa merce ossessiva che oggi viene ipocritamente chiamata comunicazione. E penso in particolare a quelle facoltà che dovrebbero riguardare soprattutto, oggi, i futuri insegnanti: pedagogia (la facoltà che è la meno presente tra tutte ai bisogni dell'epoca), psicologia, sociologia. E scienze, intendendo prima di tutto ciò che riguarda l'ecologia, tema fondamentale e dei più trascurati. C'è un solo punto su cui non mi sento di concordare con Furlan, ed è quando parla troppo bene della categoria degli insegnanti, dove mi pare che per uno che fa e crede in quello che fa nove mentono, a se stessi prima ancora che agli altri. L'autogiustificazionismo degli insegnanti, che fanno di tutto per non guardarsi da fuori e neanche allo specchio, è fatto di accettazione della scuola così com'è, del mondo così com'è. Di insegnanti eroici se ne conoscono, ma sono una piccola minoranza in un mondo di vaste ipocrisie. La prova è che niente sembra muoversi tra gli insegnanti: non lotte, non progetti, non rivendicazioni che non siano solo economiche, mentre si muove, per fortuna, tra i giovani ma non in quanto studenti. E i giovani devono confrontarsi da soli con le astuzie di un sistema che mira a castrarli sul nascere, cercando ancora una volta di rinchiuderli nella società dello spettacolo. A quando, delle assise della scuola, da parte di una minoranza cosciente e coraggiosa?
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