giovedì 18 marzo 2021
Alle nove del mattino un WhatsApp sul cellulare. Senza parole. Solo una foto: Roma, il mercatino di Campo de' Fiori. Me lo manda mia figlia. E fra noi non c'è bisogno di parole: quella piazza è il primo luogo dove ho portato lei e i suoi fratelli, bambini, a Roma. Era giugno, avevamo comprato delle ciliegie buonissime e ci eravamo seduti a mangiarle sui gradini, sotto alla statua di Giordano Bruno. E non finivamo di guardare il rosa e l'arancio delle pesche e delle albicocche sui banchi, e i mazzi ardenti di peperoncini, e le trecce d'aglio - "per allontanare le streghe", aveva commentato la bambina, ancora fresca di fiabe.
Manco da Roma da mesi, e lei, in una tacita intesa, mi manda i fiori di Campo de' Fiori. Ingrandisco al massimo l'immagine. Gerani a tre euro l'uno? A Milano, penso invidiosa, al mercato costano cinque. E di quanti colori sono. Conto ben cinque diverse sfumature di rosa. E le viole? E i rami di pesco? Mi coglie, di quella piazza, una nostalgia struggente. Ma non si può partire. Neanche tre ore di treno, prima, e ora Roma è tornata lontana.
Il Covid ridisegna le distanze, e ciò che era vicino sembra di nuovo remoto. Come ai tempi in cui si mandavano le cartoline, e chi le riceveva le conservava, perché ogni viaggio era un avvenimento. E come davanti a una cartolina io oggi incantata, guardando un WhatsApp da un'irraggiungibile, bellissima Roma di marzo.
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