venerdì 22 marzo 2019
Martedì 19 purtroppo non ho potuto essere a Casal di Principe, ma leggere su "Avvenire" della grande manifestazione di giovani che vi è stata a 25 anni dalla tragica morte di don Peppe Diana, ha ridestato in me non pochi ricordi. 25 anni fa vivevo a Napoli e frequentavo assiduamente la Terra di Lavoro, legato in particolare a una casa-famiglia piena di meravigliosi bambini e ragazzi affidati "dalla legge" a Nicola Alfiero e ai suoi collaboratori, due dei quali, Antonio e Fortuna, continuano quel lavoro egregiamente a Trentola Dugenta e sono sempre degli ottimi amici. Nicola era il più stretto amico e collaboratore di don Peppe e aveva scritto insieme a lui il documento ormai celebre noto come Per amore del mio popolo, più volte ristampato. Purtroppo, per mia negligenza o perché più impegnato sul fronte napoletano, non ho conosciuto don Peppe di cui sapevo però da Nicola, e la notizia del suo assassinio mi colpì profondamente. Ho conosciuto, dopo, la sua famiglia e altri suoi amici, e frequentavo il suo principale punto di riferimento ecclesiale, il grande vescovo di Caserta Raffaele Nogaro, di cui è ben nota l'azione in difesa degli immigrati in quella parte d'Italia raramente tranquilla. Fu con Nogaro e con Nicola che si decise rapidamente, per far fronte alle molte calunnie su don Peppe messe in giro dai boss locali (dai mandanti della sua morte!) e dai loro scherani (anche nel mondo del giornalismo locale) di raccogliere materiali e testimonianze da pubblicare rapidamente in una sorta di instant-book, che intitolammo appunto Per amore del mio popolo. Uscì pochissimi mesi dopo la tragedia grazie al contributo economico di Nogaro, Alfiero e me, che curai con Nicola la raccolta dei materiali che lo composero, ma voglio anche ricordare l'aiuto economico che ci venne dalla Comunità di Capodarco nella persona di don Vinicio Albanesi, e dall'editore stesso del libro, il napoletano Tullio Pironti, generoso e appassionato. Qualche tempo dopo, Roberto Saviano, che alla morte di don Peppino era ancora un ragazzo, utilizzò in Gomorra quei materiali per un intero capitolo del libro. Molto tempo è passato da allora, un quarto di secolo, e nel frattempo la Terra di Lavoro è diventata famosa per altri motivi non meno criminosi e di portata perfino più vasta, quelli dell'inquinamento portato nel territorio dalle discariche abusive di materiali nefasti, vicende che sono state e vengono tuttora seguite - ché la questione resta sempre aperta - su questo giornale con ostinata precisione da don Maurizio Patriciello, un altro prete della Terra di Lavoro detta ormai anche Terra dei Fuochi. E intanto c'è stato un generale risveglio di energie e sono sorte associazioni e si sono fatte manifestazioni nel nome di quel tranquillo, modesto, solido sacerdote che fu don Peppino, che aveva poco dell'intellettuale e tanto, veramente tanto, del pastore. Per amore del suo popolo.
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