mercoledì 17 febbraio 2021
Da bambina, quelle ceneri sul capo mi erano incomprensibili. Me le scrollavo subito dalla mia lunga treccia, appena uscita di chiesa. Avevo già conosciuto la morte, da vicino, ma era comunque la morte degli altri. Assurdo, che potesse riguardare anche me.
Né quando aspettavo i figli, felice della vita che portavo, comprendevo quella cenere. Era sempre di febbraio, in una giornata piovosa e triste. Tuttavia io, forte della nuova vita in grembo, ancora mi credevo immune alla morte.
Solo da pochi anni ho cominciato a capire il mercoledì delle Ceneri, e anche ad aspettarlo, come una ricorrenza cara. «Memento quia pulvis es…» non è più lingua straniera, né minaccia, ma pacificante certezza. Tutto ciò che io sono di progetti e ambizioni e ansie, pulvis, infine. Come la sabbia con cui giocavo da piccola, che mi scivolava fra le dita, impalpabile. Polvere: questa parola, nell'età matura, mi rasserena. E vorrei che una mano cara mi deponesse un giorno, polvere ormai, in un gran prato a fine giugno, quando l'erba è alta e oscilla al vento, piena di fiori. Così l'anno dopo sarei nel nuovo taglio, e nel fieno profumato.
Ciò che conta è altro, lo so, è ciò che di noi non muore. E tuttavia che pace in quel «memento quia pulvis es»: docile cenere, sotto all'alto sole di giugno.
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