venerdì 24 maggio 2019
Leggo d'abitudine molta poesia, classica e contemporanea, italiana e straniera. È un modo di pregare, mi dice un amico prete, ma non ne sono convinto; forse è un modo per pensare al profondo invece che al superficiale, alle sostanze invece che alle apparenze? Mah. Nelle riviste alle quali ho collaborato o che ho ideato e avviato, la poesia è sempre stata molto presente, anche negli anni più "politici" del dopo '68, e ho avuto l'onore ci poter pubblicare versi allora inediti di Giudici, Sereni, Morante, Ortese, Rosselli, Zanzotto, Bandini, Bene e tanti altri e più giovani, anche esordienti. E non si è trattato solo di italiani, e di viventi. Delle raccolte più recenti, mi colpisce che siano soprattutto le poesie delle donne a intrigarmi, a commuovermi. E mi sembra che, con poche eccezioni maschili, siano le donne a interpretare meglio il nostro tempo e le sue ansie, ma anche le sue (non proprio "politiche") consolazioni. Tra le raccolte recenti, ho qui davanti il libro di Patrizia Cavalli, ma che è di prose, non inferiori alle sue poesie. Si intitola, Con passi giapponesi (Einaudi). Constatazioni, domande, ricordi, monologhi, richieste (di considerazione, di affetto, di copertura dei bisogni essenziali di una persona che sa di accostarsi alla vecchiaia), e poi brevi aneddoti, mini-racconti di esemplare semplicità, in una dimensione che sfocia volentieri nel più-che-reale del sogno. Ma si tratta di prose, anche se di un grande poeta. (Dico poeta e non poetessa, come insisteva Elsa Morante: «Io sono un poeta, Quasimodo è un poetesso»). Sono prose e vogliono esserlo, ma ho davanti a me anche i versi di Patrizia Valduga (Belluno. Andantino e grande fuga, Einaudi), che parlano da una città che amo: quartine a volte dolenti, ma sempre vitali, reattive, fra cui quelle più originali sono contro il Pd e la rovina della sinistra, esempi di una insolita poesia civile. (Di Valduga è recente, anch'essa per Einaudi, la splendida traduzione in lingua delle poesie in dialetto di Carlo Porta.) E intanto Antonella Anedda ha dato (ancora Einaudi!) una delle sue raccolte più "adulte", Historiae, su ciò che cerchiamo di non vedere, sul rimosso della Storia, nelle due lingue che più le appartengono, l'italiano e il sardo. Un altro nome importante è quello di Annelisa Alleva, stavolta con le traduzioni dall'immenso Puškin, Poesie d'amore ed epigrammi, in un'edizione bilingue non facile da trovare, voluta dai russi e stampata a Tomsk. Altri egregi nomi dimentico, che non hanno raccolte altrettanto prossime. In generale, la conferma di una vitalità, di una sensibilità verso il palese e il nascosto in un'epoca peggio che grigia, che sorprendono, che interrogano, ci interrogano.
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