mercoledì 3 febbraio 2021
Il cellulare squilla mentre ho in braccio lui, quattro mesi. Lo schermo s'illumina di icone colorate: vedo gli occhi del bambino spalancarsi, sbalorditi. In un attimo un ricordo remoto mi si presenta, come fosse ieri: a quattro o cinque anni mi meravigliava che Topo Gigio e Gatto Silvestro in tv passassero - evidentemente - attraverso i fili sottili che scendevano dall'antenna sul tetto. Andavo dietro al grosso apparecchio in sala, controllavo i cavi che uscivano dalla finestra, corrugavo la fronte: no, non ci poteva passare lì dentro, Gatto Silvestro. Il fatto è che i bambini nascono, ancora, uguali ai bambini di Neanderthal, e finché sono molto piccoli conservano uno stupore primitivo per la lampadina che si accende e si spegne, per l'aereo che vola alto nel cielo. Poi, rapidamente, e oggi anzi alla velocità della luce, imparano e si abituano. Ma in quel primo istante di meraviglia c'è l'infanzia del mondo: che ogni volta ricomincia, in ogni uomo. Contemplo mio nipote e ritrovo me stessa - la bambina di Neanderthal, che anche io ero. Figli e nipoti ci sono dati anche per ricordare ciò che eravamo? Per provare, della nostra innocenza perduta, nostalgia e tenerezza. E che singolare, viscerale energia buona ci viene dai loro occhi limpidi. È forse questo, nell'Italia povera di figli, l'ingrediente che manca?
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