venerdì 20 marzo 2020
Mi chiama un amico per dirmi di aver scoperto tramite internet un grande libro che non conosceva, in una edizione corredata da una mia modesta prefazione: il Diario dell’anno della peste di Daniel Defoe (Elliot 2014). Lettore accanito di Defoe (formidabile narratore, secondo i marxisti, dell’homo oeconomicus e, aggiungo, della donna “oeconomica”
in due capolavori come Moll Flanders e Lady Roxana). Io lo avevo scoperto tanti anni fa in una vecchia edizione Bompiani, curata da Elio Vittorini, che lo considerava, nell’opera di Defoe, più importante e più forte, forse anche più bello letterariamente, del Robinson Crusoe. Mi affascinò più tardi confrontarlo con altre avvolgenti narrazioni di altre pesti, ovviamente I promessi sposi che lessi non a scuola e dopo aver letto Defoe, e ovviamente La peste di Camus. Quando scoppiò la peste Defoe aveva soltanto cinque anni, e si basò su testimonianze altrui inventando in qualche modo un genere, la ricostruzione para–giornalistica, l’inchiesta letteraria a ritroso. È un libro straordinario e straordinariamente appassionante, che trova una nuova attualità nel periodo cruciale che stiamo vivendo e dopo il quale, presumibilmente, nulla sarà più come prima... Nella mia introduzione dicevo anche dell’influenza che questo libro ha avuto sulla letteratura fantascientifica e catastrofica, e forse più nella parte che riguarda la fuga da Londra e i pericoli che ne conseguono per i fuggiaschi, in particolare sugli inglesi Ballard, Wyndham, Christopher (nel cui Morte dell’erba il virus che uccideva tutte le piante
veniva dalla Cina, e la parte della fuga dalla metropoli ricordava molto Defoe). Nella storia dell’umanità le catastrofi e le epidemie sono una costante, ma ce ne sono alcune che coinvolgono il pianeta intero, nei romanzi e nella realtà, oggi in particolare. Solo in tempi recenti, a parte incendi alluvioni terremoti, ci sono state la spagnola (50 milioni di morti nel 1917–18!), e ancora fresche nella memoria dei nostri contemporanei l’Aids, l’asiatica, il colera di Napoli del ‘73 di cui fui testimone diretto... E fu a Napoli che Leopardi scrisse, pensando allo “sterminator Vesevo” e Pompei ed Ercolano, quel capolavoro di poesia e filosofia che è La ginestra, che anche lei soccomberà al fuoco del vulcano, «ma più saggia, ma tanto / meno inferma dell’uom» che si credeva onnipossente, oggi più che mai, e capace di dominare e addomesticare la natura non meno che, l’uomo del potere, la società.
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