venerdì 10 gennaio 2020
«Oh la rabbia e il disprezzo, la collera e il furore. Oh i colpi, i pugni, le botte e gli imprigionamenti che dovemmo sopportare per non toglierci il cappello davanti agli uomini! Ma solo davanti a Dio», ha raccontato George Fox, profeta dei quaccheri, riferendo di fatto un primo caso moderno di disobbedienza civile nei confronti dell'autorità, anche di quella religiosa del tempo. Tra le molte minoranze, quella dei quaccheri si distingue per due motivi: che non voleva essere un nuova religione ma un'aggiunta alle altre (si può essere quaccheri e cattolici, per esempio) e si definiva “Società degli amici” piuttosto che Chiesa, ma nella persuasione che tutto il vivente partecipa di una stessa natura, che il cosmo è uno e ciascuno ne è parte e di questo deve sentire la bellezza e la responsabilità; e che è dai comportamenti che ci si distingue, che per i “friends” vuol dire pacifismo a oltranza, nonviolenza, dialogo con l'altro. Mi affascinava anche che l'unico loro culto fosse l'incontro nel silenzio, e che solo chi si sentiva di dover dire qualcosa di davvero importante, chi si sentiva ispirato poteva prendere la parola nelle loro riunioni, nel loro semplicissimo culto di incontro comunitario domenicale nel silenzio. Ho conosciuto dei quaccheri straordinari, al tempo della guerra nel Vietnam e anche prima, quando furono l'avanguardia di un dialogo tra i due blocchi che si dividevano il mondo; e una quacchera coraggiosa e ammirevole, Louise Wood, che organizzava da Roma gli aiuti in viveri e altro destinati a gruppi socialmente attivi e poveri, nell'Italia del dopoguerra e prima del boom, come era quello di cui facevo parte, che lavorava in Sicilia attorno a Danilo Dolci. Siccome miss Wood non chiedeva per chi uno votasse, nel pieno della Guerra Fredda il governo americano le impose una sorta di foglio di via alla rovescia: pur essendo cittadina dell'impero, le fu a lungo vietato di rimetter piede in patria... Leggo ora un libro affascinante, di uno storico americano che sceglie sempre argomenti di apparente marginalità per raccontare il passato, Marcus Rediker. È Il piantagrane: storia di Benjamin Lay (Eleuthera, pagine 264 , euro 18,00), sulla vita e le avventure di un quacchero bizzarro, ispirato e ostinato, che predicò e praticò nel Settecento americano la lotta per l'abolizione della schiavitù dei neri. Lay era un nano, ma non si lasciò condizionare da questa differenza, e passò la vita a girare gli States predicando in forme peraltro anch'esse insolite, anche da provocatorio teatro di strada, l'uguaglianza tra gli uomini, e il diritto dei neri alla libertà e ai privilegi che appartenevano solo ai bianchi, e di cui godevano in verità solo i bianchi ricchi. Dall'Inghilterra agli Usa è una storia appassionante quella che Rediker ricostruisce con radicale partecipazione, di quelle che il cinema hollywoodiano, pur così attento in passato a ricostruire episodi significativi della storia americana, si è ben guardato dal narrare.
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