venerdì 1 maggio 2020

Non vorrei essere frainteso e per questo premetto che che quanto sto per scrivere è ben fondato nella tradizione della Chiesa. Quando studiavo teologia mi sentivo spesso ripetere che secondo san Tommaso d’Aquino non si può predicare il Vangelo a chi non ha nulla nello stomaco. In altri termini, per evangelizzare non si comincia dal Vangelo, ma dallo stomaco. Dico questo perché circola un’analogia che contraddice l'autentico pensiero tradizionale della Chiesa. Sì, della Chiesa cattolica.
Secondo il pensiero dell’Aquinate l’analogia tra tenere aperto un bar e il fatto che non si possa – con tutte le cautele – celebrare la liturgia all'interno di una chiesa, è fondamentalmente erronea. Perché a questo punto bisognerebbe dire che senza Eucarestia non si possa vivere. Non è così. Senza pane quotidiano si muore, ma non si muore senza Eucarestia, almeno in via ordinaria, perché fino a prova contrario non siamo tutti e tutte creature mistiche come Marthe Robin, santa Caterina da Siena o san Padre Pio da Pietrelcina. Pensarlo significherebbe peccare di orgoglio, che fino a prova contraria, è un peccato mortale.
Detto questo, è chiaro che un buon cristiano non vive senza celebrare il mistero di Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. Ma che cosa significa celebrarlo? Qui è racchiusa l’essenza della questione. Se celebrare significa solo e soltanto praticare riti, pur santi che siano, allora non era necessario che il Cristo assumesse la natura umana. Oggi, di due cose c’è bisogno, di queste sì come il pane quotidiano e forse anche di più del pane quotidiano, dell’acqua viva: ripensare il mistero dell’Incarnazione nel contemporaneo, nella pandemia, e riscoprire il significato profondo della celebrazione dei sacramenti.
Che cosa significa vivere il cristianesimo quando non vi sono, apparentemente fedeli? Mai come in questo momento della vita, ringrazio il Signore di aver vissuto a Istanbul, in una terra dove i cristiani non sono praticamente più presenti. Alla Messa domenicale non avevo mai più di trenta fedeli, ed è era già tanto. Nella Messa conventuale quotidiana, eravamo solo noi sacerdoti a celebrare. Eppure non ero né meno prete né meno cattolico di oggi. Ma queste esperienze della Chiesa, come la vera tradizione, le vogliamo dimenticare, perché non piacciano. O le usiamo solo quando tornano comode. Che l’uomo del silenzio, Giuseppe, interceda per il Corpo di Cristo, cioè di “suo” Figlio.

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