mercoledì 24 febbraio 2021
In autostrada verso Lodi, mattina presto, cielo grigio sulla pianura. La visibilità offuscata da un pallido velo. Mio figlio fa: «C'è nebbia». Sorrido. Nebbia? Tu, penso, non sai nemmeno cos'è, la nebbia.
Ed è vero, i giovani milanesi non sanno più come era fatta la nebbia, quella vera, che si incollava con lo smog delle caldaie a carbone, negli anni 60, e in una notte combinava un amalgama tanto densa che al mattino, semplicemente, Milano non c'era più. Un drappo bianco davanti alla finestra nascondeva la casa davanti, le auto, e i passanti. Anche l'eco dei clacson, lo scampanellare dei tram arrivava fievole - come da molto lontano.
Era una nebbia totale, che fagocitava in sé ogni cosa. Incubo per chi guidava, fuori città, e non distingueva più la linea di mezzeria sull'asfalto, e sporgeva la testa dal finestrino, mentre l'aria umida e fredda colava dentro l'abitacolo. Ho provato anch'io ad avere paura, di notte, in quell'oceano di latte. Poteva essere assassina, quella nebbia. Poteva essere, guardata da una casa calda, agli occhi di un bambino, una magia: c'era ancora Milano, dietro, o invece quale altra città? Da molti anni non vedo più la vera nebbia, e forse non la rivedrò mai. Mai più davanti a una finestra, sbalordita, a contemplare il nulla candido dietro al quale, chissà.
Comunque, quella era nebbia. Voi ragazzi, che non c'eravate, non sapete cosa sia.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI