sabato 6 agosto 2022
«Una paziente mi confidava: “Qui tutti si chiedono cosa si può fare per guarire, ed è comprensibile, io mi domando che senso ha la mia vita”. È cimentandosi con questa domanda vertiginosa che la Chiesa può risultare interessante per l'uomo di oggi. Qui dentro, come ovunque. Per questo ci vogliono persone che vivano di una speranza capace di dare significato alla vita e alla morte». Don Tullio Prosperpio, cappellano all'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, si misura ogni giorno con la capacità del cristianesimo di alimentare la speranza. Non è questione di parole, che possono risultare suoni vuoti quando si vede la morte in faccia. Servono testimoni. A lui capita di trovarne tra i malati che hanno i giorni contati. Come Claudia, una ragazza di 17 anni ricoverata in gravi condizioni: piangeva disperata, poi nel tempo è stata presa da una inspiegabile serenità. Un giorno chiede di ricevere l'unzione degli infermi e al termine dice al sacerdote: «Adesso ho le valigie pronte. Chiudo gli occhi, e sai che succede? Muoio col sorriso pensando a come mi aveva sorriso papa Francesco». Aveva ricevuto la sua benedizione e una carezza in piazza San Pietro, quando era già malata terminale. Don Tullio conserva nel breviario la fotografia di Claudia, testimone che ogni giorno fa compagnia alla sua preghiera.
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