venerdì 8 marzo 2013
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Il caos cresce di ora in ora. E solo tra sette giorni, quando si eleggeranno i presidenti di Camera e Senato, si capirà se qualcuno (Pd + M5S, o Pd + Pdl + Scelta civica) ha intenzione di dare un governo al Paese. Ma i segnali, ieri, erano tutti negativi. Al punto che Pd, Pdl e montiani convergevano su una sola ipotesi: tornare alle urne il 30 giugno e il primo luglio. Il centrodestra ancora con il Cavaliere al timone. Democratici e montiani insieme con Renzi leader. E con tante incognite, ovviamente. In primis un nuovo boom di Grillo. In secundis l’insidia di un nuovo raggruppamento formato da Vendola e dalla sinistra Pd che si aggiungerebbe al coro anti-europeo.Andando con ordine, i fari vanno accesi su quanto accadrà a Palazzo Madama il 15 e 16 marzo. Al momento non c’è nessun accordo su un possibile presidente. L’idea forte che circolava ieri era che il Pd abbia opzionato il Senato, l’Aula decisiva, con Anna Finocchiaro, e sia disponibile a lasciare la Camera al Pdl (Maurizio Lupi?). Se fosse vero, significherebbe che il tentativo di formare un governo con Grillo è morto sul nascere. È ciò che pensa l’intera classe dirigente "esperta" del Pd. Ma è un’idea cui i "giovani turchi", i fedelissimi di Bersani, proprio non si rassegnano. Perciò resiste l’eventualità che, per favorire un’alleanza Pd-M5S, i Democratici (e Sel) votino "spontaneamente" il candidato grillino di Palazzo Madama (in quel caso a Montecitorio andrebbe Dario Franceschini). Sembra invece relegata in un angolo (ma pronta ad essere ripescata) l’idea che il Pd lasci il Senato al Pdl (preambolo di un’intesa organica destinata a durare anche più di qualche mese). C’è anche un altro scenario, paralizzante. Nessun accordo, il trionfo dei veti incrociati che porta all’assenza del numero legale a Palazzo Madama e alla necessità di sciogliere solo il Senato. Ieri l’ufficio legislativo della Camera Alta valutava l’ipotesi seriamente. Se ci sarà un accordo sulla seconda e terza carica istituzionale, esso sarà la premesse di un’alleanza per il governo e per il nuovo inquilino del Colle. Se non ci sarà, il voto appare ineludibile.Fronte esecutivo, il percorso più plausibile sembra essere questo: Bersani ottiene un mandato esplorativo da Napolitano, ma poi rinuncia, consapevole che il veto di M5S è proprio sul suo nome. Tuttavia, Bersani potrebbe offrire anche la disponibilità a farsi da parte e proporre un governo tecnico gradito (forse) ai 5 Stelle, con nomi quali Stefano Rodotà, l’architetto Renzo Piano, il pm Raffaele Guariniello. Basterebbe ad ottenere la fiducia di M5S? La sensazione è che altri «no» vengano sbattuti in faccia al Pd.Esauriti questi tentativi tocca al Quirinale offrire una soluzione. La strada più lineare suggerirebbe una convergenza su un esecutivo di responsabilità tra Pd e Pdl. Ma ieri l’intera classe dirigente democratica, per paura di mettere altra benzina sul fuoco-Grillo, sembrava ferma nel rifiutare l’«inciucio» con Berlusconi, lasciando la porta aperta solo a (difficili) fughe di parlamentari dal Pdl. Se davvero il Colle incoccerà contro il veto del Pd verso Silvio, allora ci sarebbe poco altro da dire e fare. Si tratterebbe solo di nominare un nuovo capo dello Stato (le votazioni a Camere riunite iniziano il 15 aprile, Napolitano lascia l’incarico il 15 maggio) e lasciare al nuovo inquilino del Colle il compito di sciogliere le Camere. Dopo, si andrebbe a votare a fine giugno-inizio luglio, con Monti lasciato a Palazzo Chigi per altri tre mesi per gli affari correnti.Tuttavia il Colle non demorde. Ha un’ultima arma da giocare. Quasi drammatica. Un appello a dare la fiducia a un governo di scopo che abbia come unico compito quello di cambiare la legge elettorale. È facile infatti prevedere che il Porcellum restituisca nuovamente una situazione di ingovernabilità. E il Quirinale ritiene che il vero autogol dei partiti, di tutti i partiti, dunque anche di Grillo, sarebbe proprio quello di lasciare in vita l’attuale legge elettorale.
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