giovedì 5 settembre 2013
ANALISI Ingovernabilità e instabilità dietro un nuovo voto con il Porcellum. Le carte di Napolitano: tentare il Letta-bis o minacciare le dimissioni. (Marco Iasevoli)

Letta al Pdl: avanti per il bene del Paese
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Sono passati 135 giorni. Berlusconi e Alfano, Bersani e Letta, Monti e gran parte dei governatori regionali si recarono al Colle a capo chino dopo aver mandato in fumo cinque votazioni e bruciato candidati alla Presidenza della Repubblica del calibro di Franco Marini e Romano Prodi: «Presidente, se lei non accetta il secondo mandato è il caos». Napolitano accettò e, poche ore dopo il voto quasi plebiscitario delle Camere, tenne un vibrante discorso che culminò in un chiaro avvertimento: «Se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese».Se davvero ci sarà una crisi, dunque, il caos evitato poco più di quattro mesi fa potrebbe scatenarsi ora, con la decisione del capo dello Stato di lasciare il Colle. Potrebbe farlo d’impeto, l’ottantottenne Napolitano, mollando tutto e tutti e lasciando a questo Parlamento rissoso, e già inconcludente 135 giorni fa, il compito di trovarsi un nuovo presidente della Repubblica. E come in quei drammatici giorni di aprile, potrebbe riemergere l’impotenza dei partiti nel trovare un minimo di coesione (tra di loro e al loro interno) intorno ad un nome. Oppure Napolitano potrebbe prima caricarsi sulle spalle una transizione soft, che si sviluppa lungo due scenari potenziali. Uno: rimandare Enrico Letta davanti alle Camere, parlamentarizzare la crisi, verificare se qualcuno vuole tenere in vita un governo nato tra mille difficoltà dopo l’enigmatico voto di fine febbraio. Due: accogliere le dimissioni del premier e provare a formare un nuovo esecutivo con margini numerici molto più ristretti. Una maggioranza nuova che sarebbe la base per cambiare il Porcellum.I margini sono strettissimi. Il maggiore indiziato per guidare un esecutivo nuovo è ancora Enrico Letta, che però ha più di una perplessità, ed è tentato dalla sfida a Matteo Renzi non tanto per la guida del Pd (con la crisi anche la stagione congressuale salterebbe), quanto per la futura premiership. E poi i numeri dovrebbero venire da un eterogeneo e complesso processo di disarticolazione politica: alla responsabilità di governo dovrebbero contribuire il Pd, Scelta civica, scissionisti "moderati" del Pdl, dissidenti di M5S, Gal, Lega. Un gruppetto di senatori democrat ci sta lavorando, ma i dubbi sono sotto gli occhi di tutti: chi, nel Pdl, è disposto ad abbandonare l’armata Berlusconi? Qualcuno ci aveva provato prima del voto di febbraio, salvo rientrare precipitosamente nelle truppe del Cav. E quale legge elettorale può nascere da un coagulo di interessi così diversi? Ci sarebbero margini per un minimo di politica economica pro-crescita?Se la risposta a queste domande fosse un colossale silenzio, allora si correrebbe alle urne con quel Porcellum già sotto la lente della Consulta, con l’altissimo rischio di ritrovarsi nuovamente con un Senato senza una maggioranza chiara. Intanto altri mesi sarebbero passati invano e le riforme istituzionali resterebbero chiuse nel cassetto. E chissà quanto potrebbe costare ai partiti tradizionali aver tradito le attese su interventi minimi come la riduzione del numero dei parlamentari e l’eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti. Chissà quanto potrebbe costare una crisi non solo in un eventuale voto tardo-autunnale (già si azzarda la data del 24-25 novembre), ma anche pochi mesi dopo, alle elezioni europee: il vento dei movimenti populisti e antieuro soffia più forte, quando chi si è preso la responsabilità di governare alza bandiera bianca.
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