giovedì 18 luglio 2013
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​La Procura di Roma arricchisce il fascicolo a carico di Alma Shalabayeva acquisendo la relazione del capo della polizia, Alessandro Pansa, ma soprattutto sta valutando la possibilità di avviare nuovi atti istruttori, compresa una rogatoria per ascoltare la moglie del dissidente kazako espulsa il 31 maggio scorso. Una decisione giunta al termine di una riunione nell’ufficio del procuratore capo Giuseppe Pignatone.Nel fascicolo, di cui è titolare il pm Eugenio Albamonte, la Shalabayeva è indagata per possesso di documenti falsi e ricettazione, a seguito degli accertamenti scattati sul passaporto della Repubblica Centroafricana, che la donna aveva esibito alla polizia il 28 maggio, la notte del blitz. Un documento ritenuto falso dagli esperti della Polaria di Fiumicino, su cui però è subentrato un primo pronunciamento del Riesame di segno opposto. La mossa della Procura, di cui ieri il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, nel corso del question time, ha di fatto certificato la formale correttezza («è intervenuta esclusivamente col rilascio dei nulla osta»), potrebbe consentire di riesaminare fatti e protagonisti di un caso su cui permangono molti punti da chiarire.Proprio sul nodo dei passaporti, la stessa Cancellieri ha chiesto, tramite l’ispettorato generale, accertamenti riguardo alla mancata visione della nota dell’ambasciata kazaka da parte del giudice di pace. Nota del 30 maggio inviata all’Ufficio immigrazione che forniva indicazioni su due passaporti kazaki della Shalabayeva. Passaporti validi. Se il giudice li avesse visti, l’iter dell’espulsione avrebbe potuto prendere un’altra piega? È un dubbio da chiarire.Un altro punto riguarda il permesso di soggiorno in area Schengen. La Shalabayeva non l’ha mai esibito. «Avrà avuto i suoi motivi», ha detto il capo della Polizia Alessandro Pansa, sentito dalla Commissione diritti umani in Senato, ribadendo inoltre (come ha fatto anche la Guardasigilli) che la donna non ha mai avanzato richiesta di asilo. Perché non ha usato questa carta che avrebbe bloccato l’espulsione? Perché, argomentano i suoi legali, la donna si era spostata in Italia proprio per paura di essere individuata dai kazaki, adottando l’identità da nubile di «Alma Ayan». Quando è scoppiato il caso, continuando a temere ritorsioni, non ha fornito ai poliziotti il permesso Schengen con l’identità reale, né ha voluto in un primo tempo chiedere asilo. Si sarebbe decisa a farlo solo una volta trattenuta nel Cie: secondo i suoi avvocati, il giudice di pace aveva consentito loro il 31 maggio di parlarne con l’assistita alle 15, ma alle 13 Alma sarebbe stata portata a Ciampino in tutta fretta prima del volo sul jet noleggiato dall’ambasciata kazaka, decollato poi alle 19. L’avvocato Riccardo Olivo (e con lui i familiari della donna) ritiene «del tutto infondate le censure mosse nei confronti loro e della propria assistita dal capo della Polizia».
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