mercoledì 18 settembre 2013
L’accordo nella sempre più fragile maggioranza sulla legge è ancora lontano, ma la trattativa continua senza interruzioni nel comitato ristretto della commissione Giustizia. Motivo dello scontro, la previsione di una circostanza aggravante per omofobia e transfobia. TUTTI GLI ARTICOLI (Angelo Picariello)
EDITORIALE Priorità insensate di Francesco Ognibene
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A Montecitorio l’accordo nella sempre più fragile maggioranza sulla legge anti-omofobia è ancora lontano, ma la trattativa continua praticamente senza interruzioni nel comitato ristretto della commissione Giustizia. Prova di ciò è l’inversione dell’ordine del giorno, che ha portato a trattare nel pomeriggio argomenti residui (come la delicata vertenza degli stabilimenti autobus Irisbus e Breda-Menarini) per provare a prendere tempo. Una scelta che viene interpretata come un segnale della volontà dei due maggiori partiti di non far precipitare in aula la spaccatura sancita ieri nel “comitato dei 9” che orienta i comportamenti dei partiti in commissione Giustizia.Motivo dello scontro, che aveva portato in mattinata alle dimissioni di uno dei relatori (Antonio Leone, del Pdl, restando in carica l'altro, Ivan Scalfarotto del Pd) la previsione di una circostanza aggravante per omofobia e transfobia da inserire all’interno della legge Mancino anti-discriminazioni, nell’ambito della quale con questa legge vengono introdotte queste due nuove fattispecie di reato. La circostanza aggravante, infatti, era stata inizialmente tenuta fuori dall’ipotesi di accordo. Nel pomeriggio il Pd ha offerto una nuova ipotesi di mediazione: l'introduzione dell'aggravante – accanto alla “scriminante” condivisa dai partiti per evitare il reato di opinione – non più ai sensi della Legge Mancino, ma in base alla “corsia ordinaria” dell’articolo 61 del codice penale, una formula mitigata che offrirebbe, negli auspici, maggiori garanzie rispetto a eccessi interpretativi della magistratura ed inasprimenti delle pene più contenuti. Tutti i partiti sono attraversati da diverse tensioni interne e solo in conferenza dei capogruppo, stasera, si vedrà se ci sono om meno i margini per tornare in aula con un’intesa tra i tre partiti della maggioranza, ma – inutile negarlo – ogni accordo è pesantemente condizionato dal clima politico generale e soggetto alle reazioni che il video-messaggio di Silvio Berlusconi ha pesantemente innescato. La sospensione dei lavori stamattina, per tentare di riaprire la mediazione aveva portato M5S ad andare sulle barricate con il deputato Cristian Iannuzzi che arrivava a chiedere le dimissioni della presidente della Camera Laura Boldrini. Sel aveva chiesto la prosecuzione della seduta a oltranza, per arrivare a licenziare il testo anche in nottata, ma la richiesta non dovrebbe essere accordata. Per cui si potrebbe partire stasera con l’esame degli emendamenti (alcuni però in grado già di indicare l’orientamento dei partiti) salvo a far slittare il voto finale a domani, consentendo così una valutazione ulteriore da parte dei partiti prima delle decisioni definitive.
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