mercoledì 27 giugno 2012
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​Mario Monti ha appena lasciato Palazzo Chigi, dove ha ospitato a pranzo Silvio Berlusconi, Angelino Alfano e Gianni Letta, e già nel breve tragitto dalla sede del governo a Montecitorio lampeggia sul suo i-Phone il commento del Cavaliere al faccia a faccia: «Siamo nell’indeterminatezza più assoluta». Il moto di disappunto del premier è presto superato, e in Aula, dove parla a conclusione del dibattito sulle mozioni di sostegno alla politica europea del governo, trasforma la frase del leader Pdl in un assist per delineare la sua strategia: «Dice bene il presidente Berlusconi, c’è uno spazio negoziale molto aperto». Uno spazio che, spiega in filigrana Monti, non c’era prima: «Vorrei ricordare che l’ok al six compact - il "padre" del durissimo fiscal compact per il rientro dal debito - fu dato dall’Italia nella primavera dal 2011 con l’impegno che io non critico del precedente governo. Fu allora che ci impegnammo per un risanamento molto, molto severo...». Allora a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi, ministro dell’Economia Giulio Tremonti.È l’unica puntura, rivolta al più ostico, in questa fase, dei leader di maggioranza, all’interno di una giornata passata a spiegare ai partiti come spera di riuscire ad incassare il vitale piano antispread. «Farò di tutto, non cederò ad Angela Merkel, le dirò che anche io ho un Parlamento e una Corte costituzionale che controllano sul mio operato, e non è questo un buon motivo per non fare le cose giuste che possono salvare l’Europa», dice in privato al presidente della Camera Gianfranco Fini. Lo ripete a Berlusconi, via telefono a Pier Ferdinando Casini, dunque all’Aula, infine in serata al leader Pd Pier Luigi Bersani: «Possiamo chiedere, non abbiamo nessun complesso perché rispettiamo le regole».Ha speranza di spuntarla, il premier, ma alla Camera cerca di drammatizzare per incassare il sostegno più ampio: «Sarà un negoziato difficilissimo, dobbiamo essere uniti governo, Parlamento e Paese. Dobbiamo lavorare come un tandem, come un motore unico». E cita il precedente del 25 gennaio, quando la mozione unica del Parlamento diede forza all’idea italiana di affiancare la crescita al rigore. Bisogna provarci anche in questo caso «per non dare alibi a osservatori esterni non sempre benevoli che guardano all’azione dell’Italia».Ma i suoi incitamenti non fanno breccia nel cuore di Silvio Berlusconi. L’ex premier somma perplessità personali ai calcoli politici e ai distinguo nel suo partito. È una fragilità in cui Pd e Udc si tuffano per additare il Pdl di «irresponsabilità». Basta ascoltare le parole rassicuranti con cui Bersani lascia il faccia a faccia serale con Palazzo Chigi: «La posizione di Monti è chiara, ferma e intelligente, lui è determinato anche se non ci nascondiamo gli ostacoli. Più di così non si poteva fare, ora vediamo se a Berlino e Bruxelles prevale il buon senso». E ancora: «Il premier continuerà ad avere il nostro appoggio anche se il vertice andrà male, siamo una squadra che cerca di portare a casa il risultato». È quasi un superamento al centro di Pier Ferdinando Casini, che in serata prima dice di «temere la follia del voto anticipato», poi insiste sulla prospettiva dell’alleanza tra «riformisti e moderati» tracciando il profilo di un Monti-bis per il 2013: «Propongo di passare da un governo tecnico ad un governo con connotazioni politiche che unisca le forze migliori del Paese». È un progetto aperto al Pdl, ovviamente, o almeno alle "colombe" che non cedono alle derive euroscettiche. Ma giusto per far capire che da adesso, sulle prospettive politiche, non si scherza più, piazza un altro carico da novanta: «Bersani leader non mi meraviglierebbe».Sono frasi neutrali, ai limiti dell’ovvio, ma che pure hanno l’obiettivo di accerchiare Berlusconi, far uscire dall’ombra Angelino Alfano e stanare un Pdl diviso tra moderati e "falchi". Anche Monti, indirettamente, dà il suo contributo in Aula, quando descrive gli effetti imprevedibili del rigore che genera recessione: «Sarebbe la ricetta migliore per trascinarci nel provincialismo e nell’isolazionismo». Anche questi messaggi sembrano per il Cavaliere che ai suoi parlamentari, ieri, è tornato a paventare l’ipotesi di una Germania fuori dall’eurozona.
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