venerdì 28 dicembre 2012
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​«L’agenda Monti? Bella senz’anima. Quello che contiene, dalla famiglia all’Europa, dall’impresa sociale al lavoro, è in larga parte condivisibile. Il problema è quello che non c’è. E manca molto».A inizio ottobre, tracciando per questo giornale un bilancio del governo Monti, Stefano Zamagni era stato abbastanza severo, attribuendo all’esecutivo molta buona volontà, ma giudicandolo di fatto incapace di leggere e comprendere la società italiana nella prospettiva dell’economia civile, dell’impresa sociale e di quell’universo tra lo Stato e il mercato che si definisce Terzo settore. Ma quella è storia vecchia. Il governo tecnico sorretto da una maggioranza eterogenea non c’è più. Mario Monti e la sua "Agenda" rappresentano un terreno di confronto tutto nuovo. Ed è in questa chiave che l’economista bolognese, ispiratore di molte norme sul non profit e tra coloro che il Papa ha consultato durante la stesura dell’enciclica Caritas in veritate, oggi espone la sua "critica". Che, ci tiene a precisare, vuole essere costruttiva. Un contributo.Professor Zamagni, nel mondo cattolico si sta guardando con grande attenzione all’Agenda dell’ex premier, dopo la sua "salita" in politica. Che giudizio ne dà?Ci sono molte buone intenzioni, ma la prima impressione è che sia stata fatta un po’ in fretta. Per certi versi era inevitabile, considerati i tempi, però è chiaro che, anche se si tratta di ben 25 pagine, l’Agenda deve essere arricchita e integrata.Insomma va fatta... "lievitare". Che cosa le manca?L’anima. Così com’è sembra più il programma di un futuro ministro economico che non la linea di un intero governo. Ripeto: è tutto molto condivisibile, ma resta un documento ancora legato a un contesto di emergenza del Paese, si evoca ma non si approfondisce una prospettiva di sviluppo che vada oltre la dimensione economica e finanziaria. Questione centrale, per carità, peraltro affrontata benissimo, ma non si può ridurre tutto a economia e finanza. E non possiamo pensare che il Paese resti in emergenza ancora per i prossimi cinque anni.Entrando nel merito, l’Agenda riconosce la necessità di «valorizzare il ruolo del volontariato» e il «modello di impresa sociale». Non sono passaggi significativi?Certo, la citazione è molto importante, ne va dato atto. È un passo in avanti. Però non possiamo fermarci a questo. Nel documento, ad esempio, non si parla mai di Terzo settore e non possono bastare le righe dedicate al volontariato e all’impresa sociale per dirsi soddisfatti. Intanto perché il non profit non può essere ridotto al solo volontariato. E poi perché l’impresa sociale è un’invenzione italiana che sì, l’Europa ora sta riconoscendo, come correttamente rilevato, ma proprio per questo meriterebbe molto più spazio. Per il mondo cattolico la questione del Terzo settore è come l’acqua per l’assetato, ed è importante che chi si candida a guidare il Paese abbia parole chiare in merito all’applicazione del principio di sussidiarietà, sia orizzontale sia circolare.L’Agenda si apre parlando di Europa con un grande riconoscimento dell’economia sociale di mercato.È positivo. Come cattolici però dobbiamo dare un contributo affinché questo passaggio vada integrato e arricchito. La visione generale di Europa, ad esempio, è forse ancora un po’ troppo legata all’equilibrio economico e finanziario, mentre non si fa riferimento alle comuni radici cristiane. Quanto all’«economia sociale di mercato», certo, è meglio dell’«economia liberista di mercato». Ma mi permetto di segnalare che questo modello caratterizza più i Paesi del Nord Europa e ha un sapore, lo dico con rispetto, un po’ più protestante nonostante i collegamenti con la Dottrina sociale della Chiesa. La nostra tradizione, come italiani e come cattolici, è quella dell’«economia civile di mercato». Un modello, cioè, nel quale la dimensione del "civile" rompe il dualismo tra Stato e mercato. Non è un caso che né Sturzo, né soprattutto De Gasperi, abbiano mai fatto riferimento all’economia sociale di mercato.Converrà che il passaggio sulla «famiglia al centro delle politiche di sviluppo, della fiscalità e del welfare», e il riferimento al fatto che contro il «calo demografico l’Italia deve tornare ad avere fiducia nel futuro e a fare bambini», non sono niente male. O no?Forse non mi sono spiegato con chiarezza. Di quello che c’è nell’Agenda dico tutto il bene che si può. La mia opinione è che andrebbero inserite alcune correzioni e fatte molte aggiunte. Un esempio: è positivo che le donne possano lavorare, ma la proposta di detassare i loro redditi non può essere presa a scatola chiusa. Ci sono infatti delle specifiche controindicazioni che esigono alcune correzioni. Inoltre, quando si parla di «conciliazione» tra famiglia e lavoro è preferibile usare il termine «armonizzazione». La conciliazione implica che è la famiglia che si deve adattare alla logica dell’impresa, l’armonizzazione che impresa e famiglia trovino un’armonia. Sembrano dettagli, invece hanno grandi implicazioni pratiche.Critico, ma costruttivo, insomma. Volendo completare l’elenco dei vuoti da riempire, che cosa aggiungerebbe?Oltre a Terzo settore, sussidiarietà, economia civile, di sicuro aggiungerei un passaggio sul ruolo della cooperazione nell’economia italiana – in particolare quella di credito e la cooperazione sociale – affronterei il tema fondamentale del pluralismo scolastico, direi qualcosa di più sulle questioni della bioetica e sui temi eticamente sensibili. Infine, prenderei l’impegno di dare vita a una Autorità per il Terzo settore, sulla cui necessità tutti sono d’accordo. Argomenti irrinunciabili in un programma di governo. Per questo è importante impegnarsi per migliorare e far lievitare l’Agenda. Anche perché, in giro, non ci sono molte alternative.
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