sabato 21 febbraio 2015
Intervista esclusiva al ministro del Lavoro Giuliano Poletti, di Arturo Celletti e Luca Mazza.  Pensioni, è ora di cambiare, in gioco la competitività.
Scontro frontale tra Renzi e Landini
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Una previsione che assomiglia a una sfida. «Oggi su ogni cento assunti solo quindici sono a tempo indeterminato. Gli altri ottantacinque rientrano nelle varie forme di precariato...». Giuliano Poletti resta qualche istante in silenzio come se cercasse le parole giuste per spiegare il primo vero effetto della rivoluzione Jobs Act. «Ora quella percentuale potrà triplicare. Ecco la nostra scommessa: in breve tempo almeno la metà dei nuovi assunti potrà entrare nel mondo del lavoro con il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti». Ancora una pausa leggera. Poi arriva un pensiero alla lotta al precariato e a una generazione con nuove tutele e nuovi diritti. Poletti riparte dagli sgravi di 8.060 euro concessi a chi assume per i primi tre anni. E spiega la filosofia. «I numeri dell’occupazione devono cambiare in maniera radicale. Insisto: oggi abbiamo un disperato bisogno di creare centinaia di migliaia di assunzioni». È la prima riflessione dopo il Consiglio dei ministri di venerdì che il governo considera una "vera svolta". «Questo Paese era una macchina ferma. Serviva una spallata e noi l’abbiamo data. Se c’è un’ansia quotidiana che ho è quella di vedere un tasso di disoccupazione così alto e tantissimi giovani a casa senza opportunità». Le considerazioni si legano alla forza dei numeri, alle ambizioni del governo, agli obiettivi disegnati con Renzi. «Nel 2015 possiamo "regalare" all’Italia 100-200mila occupati in più».È il primo pomeriggio. E il ministro del Lavoro si trova nella sua casa di Imola. Si parla delle sfide di oggi, ma anche di quelle di domani. Una su tutte: la battaglia alle disuguaglianze e ai vecchi e nuovi poveri. «Abbiamo ripreso in mano il tema del piano nazionale di contrasto alla povertà di cui si era già parlato nei mesi scorsi», ci confida quasi con orgoglio il ministro, aprendo una nuova riflessione sull’emergenza povertà che ha trovato conferme negli ultimi allarmi della Caritas e dell’Istat. «Per noi la strada è solo una: non bastano aiuti isolati, serve di più, serve una grande operazione di solidarietà. Dobbiamo prendere in carico i cittadini che sono rimasti indietro. E non è un annuncio. Abbiamo già cominciato a lavorare a un vero piano di lotta alla povertà. È necessario, è vitale per il nostro Paese. Va fatto e lo faremo».Ministro, partiamo da questa grande operazione. Quali sono i tempi e come intendete agire?Abbiamo bisogno di fare in fretta. La deadline è giugno: il piano per l’inclusione sociale e quello per la povertà devono camminare insieme. Abbiamo già avuto un primo confronto con le Regioni con l’obiettivo di destinare tutte le risorse già disponibili a questo grande disegno. Se non dovessero bastare, ne cercheremo altre.Un passo contro la povertà può prendere forma dietro l’estensione del bonus degli ottanta euro?Abbiamo bisogno di una vera operazione per garantire al Paese equità e giustizia sociale. Estendere il bonus a pensionati e indigenti è un tema su cui si è ragionato. Avendo le risorse, io lo farei senza esitare.Quando aprirete il capitolo pensioni?È un capitolo delicato, lì c’è in gioco la vita di milioni di italiani. Servono cautela e attenzione. Sicuramente la legge Fornero ha creato problemi e ora abbiamo la necessità di introdurre alcuni elementi di flessibilità in uscita, a partire dalle condizioni socialmente più difficili. Il tema-previdenza è centrale, la stabilità dei conti è segno della nostra affidabilità. Però adesso dobbiamo riflettere anche su un altro dato: quanto costa in termini di competitività tenere al lavoro persone che già hanno dato tutto? Ecco, dobbiamo partire da qui e ragionare con l’Europa su questo schema.I tempi?Non ci sono date già stabilite. Sappiamo che questi passaggi molti rilevanti avvengono in concomitanza con la legge di Stabilità, anche per verificarne l’impatto sul bilancio. Ne discuteremo con il presidente dell’Inps Boeri.Torniamo al Jobs act. E’ stata mai fatta prima d’ora una riforma così complessa in Italia?Non solo in questo Paese non è mai stata portata a termine una riforma di questa portata, ma nessuno ci ha neanche provato. Ora assumere a tempo indeterminato da anomalia si trasformerà in una prassi normale. Siamo convinti che funzionerà.Non si rischia un boom di licenziamenti dopo il triennio di sgravi?No, per una ragione piuttosto banale. Anzitutto perché molti di questi lavori non finiranno dopo tre anni. E poi mi chiedo: se licenziano coloro che hanno assunto in queste condizioni favorevoli chi prendono al loro posto? Usano contratti a termine che costano molto di più? O i co.co.pro che non esistono più? O ancora le false partite Iva che verranno smascherate? La verità è che le imprese saranno quasi costrette a non licenziare.Ora ci sono 500mila collaboratori, Renzi dice che in 200mila si trasformeranno nel nuovo contratto a tutele crescenti. E gli altri che fine faranno?Quella del premier è una previsione, ma potrebbero essere anche di più. Resteranno collaborazioni, soprattutto in alcuni settori previsti dal decreto. Non è che da oggi le partite Iva vanno considerate illegittime o negative. Quelle vere vanno bene. Esclude un’estensione del contratto a tutele crescenti ai vecchi assunti? Confindustria lo chiede…Lo escludo categoricamente. Abbiamo fatto scelta chiara e saremo coerenti. Possiamo affermare con forza che è una norma per i neoassunti. Così è e tale resterà in futuro.Il contratto di ricollocazione presuppone l’attivazione dei servizi per il lavoro che nelle diverse Regioni, per ora, non funziona. Come si pensa di agire per farli funzionare?Serve un giudizio equilibrato, non è vero che tutto non funziona. Comunque, intanto abbiamo cominciato. Le persone licenziate ora possono contare su un sussidio. Il voucher può essere speso nei confronti dei servizi pubblici e delle agenzie accreditate per cercare un nuovo posto, per ricevere formazione e, comunque, per essere accompagnati. Stiamo lavorando anche all’Agenzia unica per il ricollocamento, siamo sicuri di farla in tempi brevi. Senza effetti positivi entro un anno lei si dimetterebbe?Non servono scommesse. Il Paese ha bisogno di affidabilità e garanzie. Un ministro che dice mi dimetto, non è affidabile né credibile. Se dovessimo accorgerci che le nostre norme non funzionano le cambieremo in corsa. Ma sono sicuro che non sarà necessario.
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