sabato 28 settembre 2013
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Il giorno più lungo dei primi 163 di vita del governo guidato da Enrico Letta, inizia con uno sbarco, quello del premier e del suo entourage, dall’aereo di Stato che li riporta dagli Stati Uniti a Roma, dopo l’impegnativa missione nordamericana. Per onorare gli impegni internazionali, il premier non ha voluto interromperla, anche quando le fibrillazioni politiche erano ormai elevatissime. Ma il caos suscitato dalla minaccia di dimissioni in massa del Pdl ha inevitabilmente scardinato il programma di giornata, che prevedeva un Consiglio dei ministri il cui orario d’inizio, di fronte all’incalzare degli eventi, slitta infine alle 20, dopo il colloquio fra il premier e il capo dello Stato. Ma il subbuglio fra le forze politiche è testimoniato, già in mattinata, dal rincorrersi di riunioni: alle 11 di mattina, il segretario del Pd Gugliemo Epifani convoca la direzione in seduta permanente («Quello del Pdl è un colpo alla schiena dell’Italia che lavora e che cerca di uscire dalla crisi. Serve un chiarimento del governo in Parlamento»).Dal canto suo, Letta non perde tempo e, rientrando a Palazzo Chigi, intorno alle 14 incontra a pranzo per un primo chiarimento il vice premier, e segretario del Pdl, Angelino Alfano. I due discutono a lungo. Poi, intorno alle 16, Alfano viene avvistato dai cronisti mentre, uscito dalla sede del governo insieme al ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, si dirige verso Palazzo Grazioli, per riferire a Silvio Berlusconi gli esiti del confronto: lo stato maggiore del Pdl-Forza Italia, al quale partecipano anche Denis Verdini e i due capigruppo di Camera e Senato, Renato Brunetta e Renato Schifani, durerà tre ore. Al termine, il Cavaliere riparte alla volta di Milano. Qualche centinaio di metri più in là, il premier impiega il tempo che manca all’appuntamento al Quirinale, per avere un confronto telefonico col leader di Scelta civica Mario Monti, ricevere il segretario del proprio partito, Epifani, e poi la vera "feluca" del Pdl, lo zio Gianni Letta che alle 17 arriva in auto a Palazzo Chigi e, fedele allo stile di una vita, non rilascia alcuna dichiarazione, né in entrata, né in uscita.A parlar chiaro è invece il manipolo di ministri e viceministri centristi, che fanno quadrato attorno al premier: «Saremo tutti uniti con Letta», ripete accorata la Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, che nel pomeriggio, dopo una riunione, insieme ai ministri di Sc Mario Mauro, Gianpiero D’Alia e Enzo Moavero, diffonde un appello alla maggioranza: «Serve, mai come oggi, un supplemento di responsabilità: lo impongono la grave crisi economica e la necessità di rafforzare la credibilità internazionale dell’Italia». Nel Pd, invece, la convinzione di dover andare avanti si mescola col malumore per le tensioni innescate dalla condotta del partito di Berlusconi. Il titolare dei Rapporti col Parlamento, Dario Franceschini, chiama i colleghi democratici a raccolta, mentre il premier è già salito al Colle: arrivano Graziano Delrio, Maria Chiara Carrozza, Andrea Orlando, Cecile Kyenge, Flavio Zanonato. Alla fine, la linea è una sola, condivisa: non si può proseguire senza un chiarimento definitivo e vero. Nel frattempo, intorno alle 18, è iniziato l’annunciato vis-à-vis fra il presidente del Consiglio e il capo dello Stato Giorgio Napolitano. I due si confrontano a lungo e quando, un’ora e mezza dopo, il premier lascia il Quirinale diretto a Palazzo Chigi, la loro sintonia sulla road map per affrontare la burrasca politica è totale, con un «pieno consenso» di Napolitano sulla volontà lettiana di dar luogo ad un duplice chiarimento: il primo round immediatamente, nel Consiglio dei ministri programmato a seguire; il secondo forse già lunedì in Parlamento, alla Camera, seguito probabilmente da un voto di fiducia.Alle 19.30, il premier lascia il Colle e torna a Palazzo Chigi, dove iniziano ad arrivare i ministri per un Cdm che si preannuncia animato: «Il governo? È solidissimo» assicura Mario Mauro. Ma le tensioni non tardano a filtrare dalle mura seicentesche. La faglia che divide il governo è sempre la stessa e nasce dalle vicende giudiziarie del Cavaliere. I provvedimenti economici vengono accantonati e lo scontro si sposta sul terreno della giustizia: «Non vogliamo chiarimenti che servono per tirare a campare – attacca Alfano –. Occorre mettere la giustizia dentro il chiarimento. Senza questo, sarebbe ipocrita». Dura la replica di Franceschini: non si può barattare la durata del governo con cedimenti sulle regole. Il Cdm si chiude alle 22.40 con un comunicato duro e irrituale, vergato in prima persona dal premier, che definisce «inaccettabile» quanto avvenuto mercoledì mentre era all’Onu: «Non sono disponibile ad andare oltre senza un passaggio di chiarezza. Un’efficace azione di governo è incompatibile con le dimissioni in blocco dei membri di un gruppo parlamentare che dovrebbe sostenere quello stesso esecutivo». L’incertezza vale miliardi, conclude: «O si rilancia, e si pongono al primo posto il Paese e gli interessi dei cittadini, o si chiude questa esperienza. Non ho alcuna intenzione di vivacchiare o di prestare il fianco a continue minacce e aut-aut».
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