giovedì 3 ottobre 2013
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​«È il primo passo verso un Paese normale, forse è una giornata storica. In cinque mesi centrodestra e centrosinistra hanno cambiato completamente le leadership, i 40enni stanno rimuovendo le barriere del passato, tutti i protagonisti della Seconda repubblica sono nelle retrovie. Ora dobbiamo solo fare bene e dimostrare di essere all’altezza delle sfide». Dopo 12 ore consecutive passate tra Camera e Senato, Enrico Letta traccia un bilancio che dire positivo è poco.Anche perché dietro i numeri delle Camere, dietro la prova di forza vinta dai moderati del Pdl, c’è un patto solido con Angelino Alfano che riguarda non solo l’assetto politico del futuro, ma anche le riforme istituzionali. Il punto d’approdo è definito: in 12-18 mesi l’Italia virerà verso il premierato forte, verso una riscrittura del ruolo del presidente del Consiglio che gli permetta di "licenziare" i ministri, di imprimere più velocità ai provvedimenti del governo, di essere sfiduciato solo se esiste una reale alternativa di governo.«Negli ultimi venti anni noi abbiamo avuto 14 esecutivi, la Germania 3 cancellieri, è questo lo spread della stabilità», dice Letta durante il suo discorso. L’intesa tra premier e vicepremier è all’insegna del realismo: il presidenzialismo, gradito ad entrambi, incontrerebbe troppi ostacoli in settori combattivi dell’opinione pubblica. Ma il premierato, accompagnato ad un bicameralismo più snello, in cui le Camere svolgono funzioni complementari e non identiche, può sortire lo stesso effetto di razionalizzazione del sistema istituzionale. «Il Comitato dei saggi – dice Letta ai parlamentari – ha completato un impianto di riforma delle istituzioni ambizioso e moderno, equilibrato. Nessun stravolgimento, nessun golpe, nessun attentato ai principi fondamentali della Carta costituzionale: indicazioni di rotta per cambiare in meglio e rendere finalmente funzionante la democrazia italiana». Lì a fianco il ministro Quagliariello annuisce vistosamente, anche quando Letta chiede e si chiede «come si può difendere il bicameralismo paritario, come si fa a non ridurre il numero dei parlamentari, come si fa a non vedere gli intralci e le storture generate dalla riforma del Titolo V del 2001?». Insomma, il percorso è tracciato. L’accordo è in fase così avanzata che davvero l’ultimo scorcio di 2013 potrebbe portare al superamento del Porcellum, prevenendo l’atteso parere della Corte costituzionale. Sinora il ragionamento era di questo tipo: facciamo alcune correzioni all’attuale legge elettorale giusto per evitare la scure della Consulta, poi le "vere" regole del voto le scriviamo a riforme ultimate. Ora il discorso è capovolto: il grado di condivisione sul "premierato forte" è così alto che si può procedere subito a cancellare il sistema scritto da Calderoli con lo scopo scientifico di rendere difficile una maggioranza al Senato. E in commissione Affari costituzionali, diceva ieri Anna Finocchiaro a margine della seduta-fiume, i lavori procedono bene: a guadagnare consensi trasversali è il doppio turno. E l’identikit tracciato dal premier calza a pennello: «Vogliamo una legge elettorale in grado di restituire il diritto di scelta ai cittadini, di consegnare al Paese vincitori e sconfitti, di mettere chi vince nelle condizioni di governare davvero, fuori dalle polemiche per il bene dei cittadini e con il coinvolgimento di tutte le forze politiche dentro e fuori la maggioranza».
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