sabato 13 luglio 2013
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«I fatti sono i fatti. Strumentalizzarli vuol dire essere irresponsabili e cercare altri pretesti per rendere ancora più complesso il cammino del governo». In serata Palazzo Chigi mostra per intero il risvolto politico del caso-Ablyazov: il presidente del Consiglio Enrico Letta, pur «imbarazzato» dalla vicenda, intende fare da scudo al ministro dell’Interno e vicepremier Angelino Alfano e sottrarlo non tanto ai previsti assalti di Sel ed M5S, ma all’eventuale fuoco amico che potrebbe alzarsi da pezzi del Pd.Nella riunione di ieri pomeriggio, era il ministro degli Esteri Emma Bonino la più combattiva. L’esponente radicale non è arrivata a chiedere le dimissioni di Alfano, ben comprendendo in quale incrocio politico sia capitato il fattaccio. Ma ha messo sul tavolo il «danno d’immagine» prodotto al Paese, quell’impressione di «cedevolezza» data ai partner internazionali. Letta media, cuce, ricuce e infine arriva alla soluzione: la netta separazione tra il livello tecnico-burocratico-giudiziario e quello politico, rimasto all’oscuro sino a quando non ne ha parlato la stampa. «Angelino non ha colpe», assicura, confermando l’asse col vicepremier.Ora la partita si sposta in Parlamento. E non sarà facile venirne fuori senza ammaccature. Letta ha preallertato il Pd: vuole «compattezza e responsabilità» a sostegno del Viminale, lasciando però al Parlamento ampia facoltà di indagine. Le insidie sono le due mozioni di sfiducia individuale già avanzate da Sel e Movimento Cinque Stelle. I grillini porranno la questione al Senato, i vendoliani alla Camera. Duplice mina, dunque, per un Pd che ha al suo interno una parte di parlamentari in perenne fibrillazione, tentati di rovesciare il tavolo o per riaprire la "trattativa" con i pentastellati o per correre al voto. Ovviamente, invece, nella difesa del segretario, il Pdl vedrà compatti falchi e colombe.Che la questione non sia completamente chiarita dalla nota del governo lo dimostrano anche due convinti sponsor delle larghe intese, Anna Finocchiaro e Pier Ferdinando Casini. I due, in qualità di presidenti delle commissioni Affari costituzionali ed Esteri al Senato, hanno parlato di «episodio dai contorni inquietanti», che non si potrà concludere «scaricando responsabilità di comodo sugli ultimi anelli della catena di comando». Parole non certo concilianti. Per il Copasir parla il presidente leghista Giacomo Stucchi: «I Servizi segreti hanno assicurato di non aver avuto alcun ruolo». Anzi, fa intendere Stucchi, un maggior coordinamento tra forze dell’ordine e intelligence avrebbe forse evitato l’errore. Ma gli approfondimenti del Parlamento andranno anche nella direzione di accertare eventuali "pressioni" sui funzionari che hanno partecipato al procedimento di espulsione.
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