giovedì 31 ottobre 2013
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​ Pdl alza il prezzo sulla legge di stabilità ma Enrico Letta tira dritto. Argomenti economici e vicende giudiziarie del Cavaliere si attorcigliano come in un vortice. Sebbene il premier avesse teorizzato il contrario, a Radio anch’io: «C’è bisogno ci sia separazione fra le singole vicende giudiziarie e l’azione del governo», aveva detto. E la richiesta di Silvio Berlusconi al governo (fatta propria dai "lealisti") di varare una legge interpretativa «di una riga sola» per la non retroattività della legge Severino? «La risposta è contenuta nel voto di fiducia del 2 ottobre», aveva tagliato corto Letta. Come a dire: se vogliono riprovarci, ci riprovino, ma i numeri sono quelli.

Le parole di Letta, però, proprio non vanno giù a Palazzo Grazioli. Un’irritazione di cui si fa interprete Daniele Capezzone, che definisce Letta «deludente» e «pilatesco». Cosicché i capigruppo Renato Brunetta e Renato Schifani hanno indossato entrambi l’elmetto, ieri sera, a Palazzo Chigi. Ricevuti da Letta alla presenza del segretario Angelino Alfano e dal viceministro Luigi Casero hanno detto a chiare lettere che così com’è la Finanziaria non avrà i voti del Pdl. Ma il premier non ha intenzione di farsi tirare la giacca da giustizialisti e berlusconiani. E tiene la barra dritta sugli obiettivi programmatici: «A fine anno ci saranno i primi segni di crescita reale», si dice convinto. Rivela, e rivendica, che con le misure messe in campo dal primo ottobre già 12mila giovani sono stati assunti. «La stabilità dei conti pubblici farà si che sia il primo anno dopo molto tempo di crescita positiva. Sono moderatamente ottimista e molto determinato - avverte - a far sì che nulla rubi al nostro Paese la possibilità di cogliere la ripresa».

Certo, il rischio dello strappo del Pdl c’è. Il premier non entra nelle dinamiche interne, ma quel che pensa l’ha detto già nel dibattito sulla fiducia al Senato, quando - forse sperando in una evoluzione politica più veloce e meno travagliata - si era rivolto ostentatamente alla nuova «maggioranza politica». Come a dire che i voti di Berlusconi non sono più decisivi. E ieri pomeriggio nei colloqui con il suo vice Alfano a Palazzo Chigi si è rafforzato nella sua convinzione: Berlusconi può solo minacciare, ma non ha i numeri per farlo cadere. Letta però non fa pressione su Alfano: sa che solo la sua vittoria nella contesa interna potrebbe avvantaggiarlo, mentre il sostegno solo da parte di un manipolo di "governativi" del Pdl lascerebbe la sua maggioranza molto più sguarnita sul versante moderato.

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