martedì 31 luglio 2012
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Il governo ha chiesto ieri il voto di fiducia in Senato sul maxiemendamento al decreto legge spending review, che recepisce anche i contenuti del decreto legge sulle dismissioni pubbliche. E nell’ultimo sofferto passaggio si è registrata una frenata sul tema "sensibile" dei farmaci di marca. Sarà infatti il medico a decidere se indicare nella ricetta, così stabilisce l’ultima versione del provvedimento, solo il principio attivo del medicinale oppure anche il nome di uno specifico prodotto.La fiducia è arrivata al termine di una serie di rinvii, poiché non era pronto il maxi-emendamento su cui il governo intendeva chiedere il voto. È arrivato poco prima dell’ora di cena, dopo una sospensione dei lavori del Senato protrattasi dalle 16,30. I "boatos" riferivano che c’erano problemi sulle norme riguardanti la sanità, e così è stato. Il ministero del Tesoro ha inserito delle clausole di salvaguardia per garantire effettivi risparmi nel campo della spesa farmaceutica. Sulle prescrizioni dei farmaci l’emendamento approvato venerdì in commissione imponeva l’indicazione sulle ricette del solo principio attivo quando siano disponibili farmaci equivalenti. Una misura per incentivare l’utilizzo dei meno costosi ma poco utilizzati generici. Il principio generale è stato mantenuto ma ieri è stata aggiunta una clausola che lo indebolisce. Si stabilisce infatti che «il medico ha altresì la facoltà» di indicare sulla ricetta il nome di specifico medicinale, prescrizione che diventa «vincolante» per il farmacista quando sia espressamente motivata dal sanitario la «non sostituibilità» del prodotto. La scelta di spingere sui generici era stata pesantemente contestata dal mondo farmaceutico e dai medici di famiglia che ieri dopo la correzione hanno parlato di intervento «peggiorativo» che «ostacola l’attività prescrittiva con un aggravio di lavoro». Reazione negativa anche da Farmindustria che vede «confermata la demagogia e l’ideologia anti-industriale». Il ministero dell’Economia è intervenuto negando che la nuova formulazione sia un «passo indietro da parte del governo» in quando resta l’obbligo di indicare il principio attivo.Novità in arrivo anche sulle tasse universitarie. Dopo le polemiche per l’aumento delle rette agli studenti fuoricorso con reddito familiare alto, che sono confermate, nel provvedimento è stato inserito il divieto per le università di aumentare le tasse oltre l’indice di inflazione agli studenti in corso, quando il reddito Isee della famiglia sia inferiore ai 40mila euro annui. Il blocco vale per tre anni. Immutata invece la stangata sui fuori corso benestanti: l’aumento delle rette sarà del 25% per gli studenti il cui Isee familiare è fino a 90.000 euro; del 50% per chi sta tra i 90.000 e i 150.000 euro; e del 100%, cioè il doppio, per i redditi oltre i 150.000 euro.Tra correzioni e frenate la spending review arriva comunque oggi al voto dell’aula del Senato, fiducia compresa. Il via libera definitivo è atteso in serata, poi il provvedimento passerà alla Camera per essere convertito in legge tra giovedì e venerdì. Questa prima fase operativa della revisione della spesa pubblica assicura allo Stato risparmi superiori a 4 miliardi nel 2012 e a 10 miliardi nel 2013. Risorse che permetteranno al governo di evitare l’aumento dell’Iva previsto per il mese di ottobre, rinviandolo almeno al secondo semestre del 2013. Inoltre si assicura il pensionamento anticipato ad altri 55.000 esodati, si finanziano spese «indifferibili» per 2 miliardi oltre ad assegnare 1 miliardo l’anno alle zone terremotate.
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