martedì 29 ottobre 2013
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​No alla cabina di regia chiesta dal Pdl (e non solo), «il governo ha fatto quanto doveva, ora tocca al Parlamento». In un pranzo di un paio d’ore a Palazzo Chigi il governo ribadisce le linee guida con cui dovrà svolgersi il confronto parlamentare sulla legge di stabilità: massima libertà di apportare modifiche «a saldi invariati» e con «coperture credibili», e soprattutto i gruppi potranno mettersi d’accordo come ritengono sulla distribuzione delle risorse che l’esecutivo ha reperito, in modo particolare sul cuneo fiscale. In parole povere, sta ai partiti e alle parti sociali decidere se distribuire gli 1,5 miliardi di detrazioni Irpef per i dipendenti a pioggia oppure selezionando le fasce di reddito medio-basse, aumentando il bottino pro-capite. Allo stesso modo, non sarà il governo a mettersi alla ricerca di altri fondi: l’onere di nuovi tagli, è il senso, debbono assumerselo i gruppi parlamentari. Una linea su cui hanno convenuto, senza esprimere dissenso - almeno all’esterno - tutti i commensali: Letta e Alfano, Saccomanni e Franceschini, ma anche i due viceministri del Tesoro Fassina e Casero, incaricati di seguiti i lavori in Commissione e in Aula. Questo percorso che l’esecutivo ritiene «lineare» potrebbe chiudersi anche senza maxiemendamento di Palazzo Chigi e senza fiducia. Ma c’è tempo per pensarci.

Lo stesso discorso fatto per il cuneo vale anche per l’altro capitolo caldo, la casa. Il governo ritiene di aver fatto il massimo, di aver messo a disposizione «la cornice e i colori», e che il disegno deve completarlo l’Aula. Un atteggiamento che lascia i sindacati e le parti sociali perplessi. La più dura, durante le audizioni davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, è stata la leader Cgil Camusso: «È poco cortese, dicono che dobbiamo fare noi e poi nel ddl hanno scritto come deve essere distribuito ogni centesimo. Ma con queste risorse non c’è una risposta per il Paese». Sulla stessa linea il numero uno Uil Angeletti, mentre tiene aperta la porta il segretario Cisl Bonanni: «Se il governo ci ascolta potremmo revocare lo sciopero». Una mini-apertura che però è subito contraddetta dagli altri due leader confederali. Per i sindacati, in sostanza, si è agito poco sulla spesa pubblica e bisogna almeno recuperare l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 22 per cento.

Durante il pranzo tra i big del governo si è parlato anche di privatizzazioni. È ancora incerto se nel Cdm di oggi sarà formalizzata la composizione del Comitato per le privatizzazioni presso il ministero dell’Economia, l’organismo che dovrà accompagnare l’esecutivo, entro due mesi, a scrivere un piano di dismissioni. Ieri i ministri hanno girato al largo, constatando che al momento le posizioni di Letta e Saccomanni sono distanti sia dagli umori del Pdl sia da quelli del Pd. Il Cdm dovrebbe licenziare oggi il provvedimento salva-Roma, un finanziamento per il trasporto pubblico campano e altre misure a tutela di enti locali e Asl a rischio default. L’intenzione sarebbe anche di riaffrontare il tema delle risorse per la Cig ancora necessarie per il 2013.

Oggi le audizioni si chiuderanno con l’intervento di Saccomanni e del governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Prevedibile che il Tesoro difenda l’impostazione del testo, mentre Palazzo Koch potrebbe spingere il Parlamento ad una maggiore audacia, seppure nei vincoli di bilancio. Intanto, sotterraneamente, i lettiani lavorano nel difficile tentativo di reperire risorse nuove e "accontentare" le parti sociali. Una strada l’ha indicata ieri Francesco Boccia: andare a recuperare i soldi di chi ha aderito ai precedenti condoni fiscali e poi non ha versato nulla. Sarebbero 3,4 miliardi preziosi.

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