martedì 30 dicembre 2014
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«Sì, ho ascoltato la conferenza stampa di Renzi. I suoi chiarimenti sull’applicabilità del Jobs Act agli statali. Beh, c’è un livello di improvvisazione e di demagogia preoccupante, molto preoccupante». Stefano Fassina è netto. A tratti aspro. «Gli interventi degli ultimi mesi sul lavoro e sulla politica economica non produrranno i risultati attesi. Anzi ci trascinano indietro di trent’anni». E allora? «Servono correzioni profonde e servono in fretta». Una pausa leggera. Poi l’ex viceministro dell’Economia (oggi uno dei leader della minoranza Pd) avverte l’inquilino di palazzo Chigi: «Bisogna cambiare rotta altrimenti quelle potenzialità che l’Italia ha verranno vanificate. Renzi cambi o l’Italia non ce la fa». Provi a spiegare: quali correzioni? Punto uno: correzioni radicali dei rapporti con i partner europei. La presidenza italiana ha girato a vuoto così concentrata su una generica richiesta di flessibilità e così incapace di rendere esplicita l’insostenibilità della politica economica Ue. Punto due?Correzioni radicali all’agenda di politica economica interna. Non va, non funziona. Resta, nonostante la retorica, allineata alla ricetta della troika che ha condannato l’eurozona alla deflazione. E poi c’è un punto tre. Va corretto profondamente il rapporto con le parti sociali: non sono zavorra di cui liberarsi, sono interlocutori preziosi con cui costruire un cambiamento progressivo. E Renzi? Renzi sembra incapace di ascoltare. E di capire che dopo sette anni di crisi siamo in deflazione. Non c’è consapevolezza della gravità dei problemi e della radicalità delle correzioni da fare. Ripeto troppo non va: non c’è la capacità di ascolto che ci aspettiamo e non c’è la giusta attenzione a chi nel Pd ha posizione diverse, ma sempre costruttive. Un quadro fosco. La fiducia si promuove con misure giuste e, invece, la consapevolezza delle misure da fare e dei cambiamenti di rotta non è adeguata. Non va bene considerare modernizzazione e innovazione una ricetta vecchia di trent’anni dei conservatori e dei liberisti. Non ha funzionato, anzi ha peggiorato in maniera netta il quadro. La vostra insoddisfazione si sfogherà nella partita del Colle? Non scherzi: i franchi tiratori vanno cercati altrove. Noi esprimiamo la nostra insoddisfazione alla luce del sole e per noi Quirinale e riforme sono partite diverse. Decisive entrambe, ma diverse. Sul Quirinale va cercata una soluzione che unisca il Pd e che trovi condivisione anche altrove: se saremo capaci di individuare una figura autorevole, autonoma e capace di unire, il Pd sarà granitico. Ci raccontava la vostra delusione per le scelte sul lavoro... Un passo indietro di trent’anni... Il lavoro esce indebolito. Nessun contratto precario è stato eliminato. L’estensione degli ammortizzatori sociali a chi è escluso non c’è stata. E poi è l’idea di scaricare sulle spalle dei lavoratori - sia pubblici che privati - il problema della produttività che non funziona. E questo Renzi così subalterno alla dottrina liberista ci preoccupa. Eppure la parola scissione è impronunciabile. Quali sono le conseguenze concrete? Conseguenze sono emerse nel voto in Emilia Romagna: lì abbiamo perso 700mila voti rispetto alle europee del 25 maggio. Conseguenze sono emerse nelle mobilitazioni di questi mesi. E conseguenze arriveranno sul terreno dell’economia: le scelte di Renzi e del governo aggraveranno le condizioni dell’economia, del lavoro e del debito pubblico. Anche lei nella pattuglia dei gufi? Renzi più dei gufi dovrebbe preoccuparsi dei troppi struzzi capaci solo a mettere la testa sotto la sabbia. Ora è vitale guardare in faccia la realtà. Chiudiamo l’anno in recessione e, se non si cambia radicalmente rotta, l’anno prossimo sarà ancora un anno di stagnazione. Ma Renzi non ha mica la bacchetta magica. Lo capisco: la bacchetta magica non c’è. E non ci sono soluzioni miracolose. Ma ora mi aspetterei un discorso di verità che ancora non c’è. E una nuova collaborazione con tutte le energie del Pd. Nel partito ci sono le energie per rendere realistica una svolta. Svolta come? Servono misure di contrasto alla povertà: è raddoppiata negli ultimi anni e oggi quasi un milione e mezzo di minori sono poveri. Serve una politica industriale che indirizzi le poche risorse verso l’innovazione. E serve sostenere gli investimenti pubblici con piccole opere attraverso un allentamento significativo e non simbolico del patto di Stabilità. Sono tre idee, ce ne sarebbero altre.
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