giovedì 15 ottobre 2015
​Oggi il Cdm: via la Tasi. Perotti nega l'addio. L'Ue: no alla "flessibilità migranti"?
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Più deficit ed entrate straordinarie, ma pochi tagli alla spesa pubblica: la legge di stabilità 2016 approda oggi in Consiglio dei ministri, mentre rimbalzano le voci che uno dei nuovi commissari alla spending review, l’economista bocconiano Roberto Perotti, abbia deciso di lasciare l’incarico.  Senza sbattere la porta, senza polemiche, ma comunque deluso per il ridimensionamento degli obiettivi di revisione della spesa, che dai 10 miliardi annunciati nei mesi scorsi si sarebbe quasi dimezzata a 5-6 miliardi. Voci che, dopo essere circolate per tutto il girono, solo a sera sono state ridimensionate dallo stesso Perotti: «Non è vero che mi sono dimesso dall’incarico. Sono ancora operativo». La conferma sui tagli si avrà oggi, quando il governo metterà nero su bianco le coperture a una manovra di taglio espansivo e stimata al momento tra i 27 e i 30 miliardi tra minori entrate e maggiori spese. L’appuntamento è alle 12 e 30 a Palazzo Chigi. Le indiscrezioni dell’ultim’ora danno il rientro in campo del tema previdenziale: non sotto forma di una modifica alla legge Fornero – per la quale Matteo Renzi ha rinviato al prossimo anno un intervento quadro – ma attraverso il rilancio del part-time nei tre anni precedenti l’età di pensionamento, cioé intorno ai 63 anni. Un misura limitata, subordinata a un accordo tra impresa e lavoratore, che potrebbe cominciare ad agevolare un maggiore turn over nelle aziende. Ma che non basterà ad accontentare sindacati e sinistra Pd. Quasi certi, poi, la conferma con modifiche dell’«opzione donna» ora in scadenza e il varo della settima operazione di salvaguardia per gli esodati. Sempre più probabile, inoltre, che il canone Rai arrivi in bolletta già dal prossimo anno. I dubbi sarebbero superati e il nuovo sistema di pagamento partirebbe, se non da gennaio (ci sono problemi tecnici e normativi da risolvere), da marzo o da metà del 2016.  La legge di stabilità è, come sempre, molto complessa e si carica quest’anno di una particolare attesa perché la sua concretizzazione è affidata a un ampio utilizzo della flessibilità sul deficit pubblico, che scenderà molto meno rispetto all’andamento previsto (2,2% invece dell’1,4% tendenziale), un’operazione sulla quale dovrà dare il via libera la Commissione europea. Dopo anni di stretta fiscale e rigore finanziario dovrebbe segnare comunque un’inversione di tendenza. Anche se il mezzo stop della Ue alla Spagna nei giorni scorsi obbliga alla prudenza.   Anche per questo l’annunciato taglio dell’Ires (imposta sugli utili aziendali) torna in forse. L’idea era di anticipare parte dello sgravio - da almeno 3,5 punti - dal 2017 al 2016. Ma questo sarà possibile solo se la Ue concederà l’ulteriore flessibilità sul deficit dello 0,2% del Pil legata all’emergenza profughi: si tratta di circa 3,2 miliardi, che Bruxelles non intende però concedere in modo automatico, anzi appare probabile che alla fine opponga un rifiuto. Si deciderà quindi eventualmente nel corso dell’anno. Sempre sul fronte imprese è invece confermato il super-ammortamento (il 140% della spesa) per gli investimenti in beni strumentali. Il 'piatto forte' resta il taglio di Tasi e Imu: operazione da 5 miliardi che riguarderà tutte le prime case, comprese quelle di lusso (per le quali la Uil stima un risparmio medio di quasi 2.800 euro), i terreni agricoli e i macchinari imbullonati. Soldi che torneranno nella disponibilità di famiglie e imprese e grazie ai quali il governo punta a dare una spinta a una ripresa economica avviata ma ancora debole. Su questo fronte spunta anche un innalzamento della no tax area per i pensionati, si capirà oggi di quanto.  L’elenco degli interventi prevede poi un rafforzamento dei fondi contro la povertà, la conferma solo parziale degli sgravi sulle assunzioni, gli investimenti pubblici e gli aiuti al Sud, oltre a qualche risorsa per gli statali. Per il pacchetto previdenziale (part-time in uscita, opzione donna ed esodati) servirebbero 2,5 miliardi in tre anni. Ma l’impegno più gravoso in termini finanziari è il disinnesco delle clausole di salvaguardia 'accese' nelle ultime manovre a tutela dei conti pubblici: per evitare i rincari di Iva e accise il governo deve mettere in conto 16,8 miliardi. Si tratterà di un intervento 'tampone' per il solo 2016 (nel 2017 il conto salirà a ben 26 miliardi), finanziato attraverso la flessibilità sul deficit.  Le clausole europee sulle quali il governo pensa di poter contare valgono sui 13-14 miliardi, lo 0,8% del Pil. A queste risorse si aggiungeranno i 5-6 miliardi dei tagli alla spesa, tra Sanità, costi standard e rafforzamento dei risparmi nei ministeri (il 10% in più negli uffici di diretta collaborazione con sforbiciata sul numero dei dirigenti). Poi ci sono le entrate una tantum attese dalla regolarizzazione dei capitali nascosti al fisco, per 2,5-3 miliardi. Con queste coperture si arriva però intorno ai 22-23 miliardi, non a 27 e tantomeno a 30.
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