martedì 3 novembre 2015
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Le regioni lanciano un grido d’allarme sulla legge finanziaria. E alzano la tensione con il governo Renzi. Con i suoi tagli per 17 miliardi in tre anni (2017-2019) la legge, in discussione al Senato, «mette a rischio la sopravvivenza del sistema Regioni», ha detto il presidente della Conferenza delle Regioni e governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, nel corso di un’audizione in Commissione Bilancio di Palazzo Madama. E il mancato incremento della spesa sanitaria nel 2016 potrebbe far aumentare i ticket e compromettere la distribuzione dei farmaci salvavita. Un grido d’allarme che si fa forte dai rilievi mossi al governo dai tecnici del Servizio Bilancio di Camera e Senato, che chiedono all’esecutivo «una valutazione in merito alla effettiva praticabilità» dei tagli. L’intervento fa tornare, però, alta la tensione con il governo. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi accoglie, infatti, la richiesta di incontro partita dal sistema regionale. Ma, fa intuire il premier, ora dovrà confrontarsi direttamente con lui. Il commento del presidente del Consiglio alla convocazione, da lui fissata per domani (giovedì la Conferenza delle Regioni è chiamata a dare un parere sulla finanziaria), preannuncia infatti scintille. «Ora ci divertiamo, sul serio», ha confidato ai suoi. Da quanto lasciato trapelare, Renzi non sembra in alcun modo intenzionato a modificare l’impostazione della manovra: «Sulla sanità ci sono più soldi del passato», avrebbe ribadito. «Le tasse devono scendere» e le Regioni non saranno autorizzate ad aumentare le imposte. «Eliminino piuttosto gli sprechi», avrebbe argomentato. Ma la lettura di Chiamparino è totalmente diversa. Nel 2016 le Regioni, ha spiegato in Parlamento, devono fare i conti con 2 miliardi in meno del previsto per la sanità e altri 2,2 miliardi di tagli extrasanità ereditati dalle manovre del passato. Quest’ultima cifra viene solo in parte coperta con stanziamenti per 1,3 miliardi previsti dalla stabilità, che lascia quindi un «buco» da 900 milioni. Il fondo - è vero - aumenterà di 1 miliardo rispetto allo scorso anno, come ribadito da Renzi, ma 800 milioni saranno destinati ai nuovi Lea, mentre le Regioni dovranno far fronte anche a rinnovo dei contratti (300 milioni), fondo vaccinazioni (300 milioni), pazienti emotrasfusi (170 milioni) e farmaci salvavita come quelli per l’epatite C (500 milioni). Manca quindi un altro miliardo. «Se non cambiano questi dati – sostiene il presidente (dimissionario) della Conferenza delle Regioni – vorrà dire che sui farmaci innovativi ci sarà qualcuno a cui bisognerà dire di no, ma questa è una responsabilità enorme». Parole forti che anticipano un’altra provocazione lanciata al governo: «Se si ritiene che la sanità possa funzionare meglio con un sistema centralizzato, noi siamo pronti ad affrontare sfida, purché non si faccia in maniera strisciante e surrettizia». Le critiche non sono del resto isolate. Davanti al Parlamento anche le parti sociali hanno risollevato molti dubbi. A partire da Susanna Camusso, secondo cui la manovra «favorisce chi ha di più» e peggiora le condizioni di chi invece si trova già in condizioni disagiate. Cisl e Uil sulla stessa linea lamentano i tagli a Caf e patronati, ritenuti indispensabili proprio per le fasce meno protette di cittadini, mentre il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, pur approvando l’impianto complessivo della legge, evidenzia «i grandi assenti» del 2016: Sud, ricerca e innovazione. I dubbi che emergono però con più forza sono quelli dei tecnici di Camera e Senato, chiamati ad analizzare i dettagli delle singole misure. In primo luogo la Tasi, intervento simbolo della legge, la cui eliminazione rischia tuttavia di comprimere i margini di manovra dei Comuni. La compensazione del mancato gettito con l’aumento del fondo di solidarietà comunale può infatti «determinare un irrigidimento dei bilanci». Dubbi non mancano anche sul canone Rai in bolletta e sull’innalzamento della soglia del contante, sottoposto troppo spesso a interventi di segno contrapposto.
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