giovedì 29 gennaio 2015
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Palermitano, classe 1941, Sergio Mattarella, vedovo  da qualche anno e padre di tre figli, è un uomo che conoscono in pochi anche negli stessi palazzi della politica. Colpa o merito di quel suo carattere schivo, mai sopra le righe, che gli ha consentito di affrontare incarichi di primo piano e condurre battaglie importanti come quella contro la legge Mammì senza attirare su di sè i riflettori. Chi lo conosce bene lo descrive come l'esatto opposto del suo principale sostenitore al Colle, vale a dire Matteo Renzi. Evita le telecamere, parla poco ed è un uomo prudente. Democristiano per "nascita" (suo padre era Bernardo, più volte ministro della Prima Repubblica, e suo fratello era Piersanti, presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia nel 1980, Sergio lo vide morire tra le sue braccia), è considerato a ragion veduta uno dei fondatori del Partito polare prima e dell'Ulivo di Romano Prodi dopo. L'ingresso in politica fu, dopo la tragica morte del fratello praticamente obbligato. Nel giro di tre anni fu eletto deputato nelle file della Dc e l'anno dopo divenne plenipotenziario del partito in Sicilia. La missione affidatagli dall'allora segretario De Mita era quella di bonificare la Dc corotta di Lima e Ciancimino. Fu lui a lanciare come sindaco di Palermo un giovane professore che era stato tra i consiglieri di suo fratello: Leoluca Orlando. De Mita gli diede anche il primo incarico come ministro dei Rapporti con il Parlamento. Passò alla storia il primo scontro diretto con Silvio Berlusconi. Mattarella si dimise da ministro della Pubblica istruzione nel 1990 (governo Andreotti) per protestare contro la legge Mammì che di fatto dava il via libera all’impero dell’allora Fininvest. Si dimesero cinque ministri (c'erano anche Martinazzoli e Mannino) ma fu lui a spiegare senza alcun accenno di polemica che la decisione di porre la fiducia per violare una direttiva comunitari era "in linea di principio inammissibile". Un particolare che Berlusconi non ha certo dimenticato tanto da mettere sul tavolo un veto sul suo nome. Nel 1993 Mattarella ha legato il suo nome alla riforma della legge elettorale in senso maggioritario, nota appunto con l'appellativo di Mattarellum. Un delicato equilibrio tra collegi uninomilai e quote proporzionali che, grazie anche al terremoto politico provocato da Tangentopoli, ebbe come effetto collaterale quello di far crollare la Dc. Mattarella ne uscì senza alcuna macchia: fu assolto dall'unica accusa che riuscirono a muovere contro di lui, quella di aver accettato in regalo i buoni benzina da un costruttore siciliano (assolto perché il fatto non sussite). Nel Partito popolare fu uno degli oppositori della linea di Buttiglione di dialogo con Berlusconi e anche uno dei sottoscrittori della candidatura a premier di Prodi. Poi vennero l'Ulivo, la Margherita e infine i Ds. Con Massimo D’Alema a Palazzo Chigi è prima vicepresidente del Consiglio e poi ministro della Difesa. Porta a casa una riforma importante: l'abolizione del servizio militare obbligatorio.  Un altro scontro con Berlusconi risale all’ammissione di Forza Italia nel Partito Popolare Europeo, definita da Mattarella «un incubo irrazionale». Dall’aprile 2008 ha deciso di uscire dalla scena politica attiva, lasciando il Parlamento. Nel 2011 è stato eletto giudice della Corte costituzionale dal Parlamento: sembrava avesse mancato il quorum per un solo voto, ma centrò l'obiettivo. Anche questa volta senza clamore.
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