giovedì 7 gennaio 2016
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«L’aspirazione di ogni bambino, anche in conformità alla prevalenza del modello sociale che attualmente ci circonda, è quella di avere e di crescere con i suoi due genitori 'naturali'. Tutte le altre soluzioni, al di là di pregiudizi e posizioni ideologiche, rappresentano comunque per i bambini motivo di adattamento, cambiamento, ricostruzione di schemi sociali, culturali e biologici, superamento, resilienza. L’equilibrio madre-padre, poi, è fondamentale per la crescita. E sappiamo anche che sia la vita prenatale che i primi anni di vita sono decisivi per la formazione della personalità e del carattere di ogni individuo. Detto questo, non possiamo però ignorare che, in questi ultimi decenni, la famiglia abbia subito profonde e significative trasformazioni. Oggi ci troviamo di fronte alle 'nuove famiglie' che affiancano quelle tradizionali e che sono: famiglie di fatto, allargate, monoparentali, interetniche, affidatarie, adottive, omogenitoriali. Si tratta, allora, di capire come conciliare le trasformazioni che ha subito la famiglia, nell’evolversi dei tempi, con i diritti dei bambini. Anzi, come recita l’articolo 3 della Convenzione Onu sui diritti dei bambini e delle bambine, con il 'superiore interesse dei minori'. E qui il discorso si fa complesso». La premessa della psicoterapeuta Maria Rita Parsi, membro della Commissione Onu dei diritti dei fanciulli e delle fanciulle a Ginevra – una vita dalla parte dei bambini e presidente della Fondazione Movimento Bambino Onlus – è dialogante ma ferma. Al primo posto vengono i bambini. L’ottica deve essere 'bambinocentrica' e non, come sempre avviene, centrata sui bisogni e le problematiche degli adulti. E questo va assolutamente richiesto ed evidenziato ai firmatari della proposta di legge Cirinnà. Mettiamo le cose in chiaro. Non le sembra un po’ generico e molto strumentale parlare di diritto al matrimonio omosessuale, quando è assodato che l’omosessualità è un arcipelago che la scienza stessa fa fatica a decifrare? Beh, per esempio, sarebbe necessario approfondire le caratteristiche, nel rapporto con i bambini, delle coppie omoparentali femminili e di quelle omoparentali maschili. Le donne, infatti, mettono al mondo i bambini contenendo, con il loro corpo, sin dal concepimento, tutti i passaggi naturali che danno la vita. Le donne, da sempre e necessariamente, sin dai primi giorni, si occupano dei bambini che hanno messo al mondo, li allattano, si prendono cura della loro crescita. Vero è che, oggi, anche molti uomini hanno iniziato a prendersi cura dei loro figli con gran partecipazione e si impegnano a seguirli, nella loro crescita ed educazione, condividendo il peso giornaliero del loro sviluppo psicofisico. Va detto che le funzioni sono intercambiabili ma i ruoli no. Comunque, per quanto riguarda le coppie omoparentali femminili, soprattutto nei primi anni di vita, il modello della 'doppia' mamma, quella biologica e quella rappresentata dalla compagna, potrebbe affermarsi con maggior facilità. Vuol dire che bisognerebbe prevedere un doppio binario, maschile e femminile?Io ragiono dal punto di vista psicoaffettivo, non propongo soluzioni tecniche. È un dato di fatto, però, che le coppie omosessuali, nel momento in cui scatta la voglia di famiglia, replicano un modello che hanno iscritto nel Dna, cioè quello di un nucleo in cui c’è una figura che richiama il ruolo paterno e un’altra che richiama quello materno. La base della costituzione della famiglia, della procreazione e della continuità sociale è quella. Non possiamo inventarne un’altra. Sì, ma a differenza delle coppie lesbiche, gli uomini omosessuali un figlio non possono inventarselo. E quindi il via libera all’utero in affitto non è un timore infondato. Vero è che anche le donne, senza il contributo, almeno genetico, dell’uomo, un figlio non possono inventarselo! Rispetto 'all’utero in affitto', poi, mi sento di esprimere una netta contrarietà. Infatti, la vita intrauterina è una esperienza evolutiva fondamentale che crea già un habitat relazionale e un legame profondissimo ed innegabile tra la madre naturale e il nascituro. Infinite sono, infatti, le comunicazioni neurochimiche che il feto scambia con la madre durante la vita intrauterina. E la madre con lui, comincia, così, a costruire l’identità del bambino sin da quando lo porta in grembo. Questo fa sì che egli partecipi, anche e altrettanto, dello stato di tensione e precarietà di cui la madre è certamente portatrice in situazioni come quella 'dell’utero in affitto'. Pertanto, quando un bambino viene sottratto alla madre naturale anche in simili, deliberatamente preventivate situazioni, egli porterà questa carenza, dentro, per sempre (come avviene, peraltro, ai bambini adottati che hanno subito questo distacco e che quasi sempre vanno ricercando, allorquando crescono, la loro origine). Infine, vanno considerate le condizioni di sfruttamento e di ingiustizia vissute dalle donne che accettano di essere 'madri surrogate'. Quindi concorda con chi afferma che caricare sulle spalle di un bambino disagi e difficoltà derivanti dalle dinamiche di una coppia omosessuale significa ancora una volta ragionare in una logica adultocentrica?Non differentemente, però, da come può avvenire anche nelle famiglie eterosessuali, allorquando il bambino non viene vissuto né riconosciuto come persona, con la sua identità e con i suoi diritti ma come investimento e ripiegamento narcisistico della coppia genitoriale. Mettere al primo posto i diritti dei bambini significa, pertanto, ammettere che queste difficoltà si vivono anche in famiglie eterosessuali. Nella mia attività ne vedo, ora, veramente troppe, con problemi decisamente seri. Quello che succede, ad esempio, quando esplodono i conflitti che possono portare alla separazione di una coppia, spesso si traduce in profondi traumi per i più piccoli. Se penso a queste situazioni, mi viene da dire che spesso carichiamo sulle spalle dei bambini pesi inopportuni e grandi, insostenibili, responsabilità.
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