giovedì 19 maggio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
«Oggi politica, cultura, società mettono al centro i bambini in modo solo nomina-listico. In realtà i nuovi contesti di normalità sono una fonte di grande angoscia per chi, come noi, da trent’anni si occupa di infanzia dal punto di vista clinico». E i nuovi 'contesti di normalità' per Guido Crocetti, docente di psicologia clinica alla Sapienza di Roma, direttore della Scuola di specializzazione Cipspsia (Centro italiano di psicotera- pia psicanalitica per l’infanzia e l’adolescenza)– che da domani a Bologna festeggia il trentennale con un convegno internazionale – si chiamano anche utero in affitto, omogenitorialità, fecondazione eterologa e tutto quell’arcipelago di situazioni bioetiche, antropo- sociali e ambientali che rappresentano altrettanti fattori di rischio per la crescita equilibrata dei minori. Sotto quale aspetto l’utero in affitto può essere considerato un rischio per lo sviluppo interiore del bambino? Certa politica pretenderebbe di considerare l’utero un ambiente neutro, intercambiabile, mentre il bambino che cresce nella 'pancia della mamma' stabilisce con lei una relazione profonda e insostituibile. Affittare l’utero è un’aberrazione assoluta della nostra cultura che si vorrebbe far passare per normalità. Esistono studi scientifici inoppugnabili che dimostrano tutti i rischi psicologici connessi a questa pratica. Rischi che si ripercuotono sull’equilibrio cognitivo del bambino. Purtroppo la politica non sembra tenerne conto, ancora. In effetti c’è una cultura che dà già dato per assodato che i bambini si possano 'fabbricare' senza il contributo di una mamma e di un papà… Purtroppo tutte le pratiche di fecondazione in vitro, con le infinite variazioni sul tema, hanno finito quasi per convincere certa gente dell’inutilità della partecipazione maschile e femminile allo straordinario evento della nascita e della crescita di un bambino. Ma si tratta di un gigantesco equivoco. In ogni momento della loro vita, dal concepimento all’adolescenza, i bambini hanno la necessità di avere accanto a sé una mamma-donna e un papà-uomo. Certo, si può crescere anche senza, lo sappiamo. Ma a che prezzo? A che prezzo per il bambino stesso e per la società che sarà poi chiamata a sopportarne le conseguenze? Quindi anche le coppie omogenitoriali rappresentano un’incognita per lo sviluppo equilibrato della psiche infantile? Un bambino ha bisogno di un’identità di genere certa, senza equivoci. Ecco perché è un errore cancellare l’identità di genere dai programmi scolastici, come in troppi contesti si cerca di fare oggi. Non si tratta di un capriccio ideologico, ma dei riscontri indiscutibili della pedagogia di base. Il bambino ha bisogno di far riferimento a un padre e a una madre. Non c’è discussione possibile su questo. Ecco perché esistono pesanti interrogativi sull’opportunità di aprire all’adozione omosessuale in modo indiscriminato. Qual è l’aspetto che la preoccupa di più? Le maggior parte delle coppie omogenitoriali trasmette un’avversione profonda per l’altro sesso, che diventa pesantemente negativa per l’equilibrio di un minore. Tanto è vero che questa avversione interiorizzata, diventerà poi protagonista delle sue scelte future. Lei dice 'la maggior parte'? Esiste dunque una percentuale di coppie omosessuali con caratteristiche diverse? Anche le coppie omosessuali, come quelle eterosessuali, non sono tutte uguali. Sulla base della mia esperienza clinica, farei una distinzione tra omosessuali 'biologici' e omosessuali di tipo 'difensivo'. Soltanto i primi, che probabilmente non superano il 10 per cento del totale, possono formare coppie 'sane', cioè coppie di persone che riescono a conservare un rapporto equilibrato con l’altro sesso, con cui c’è accettazione e dialogo. L’altro da sé è riconosciuto e serenamente integrato, anche se non viene scelto come partner sessuale. Queste persone vivono la propria intimità in modo privato e discreto, senza ostentazioni e senza forme esibizionistiche. Sono persone il cui orientamento sessuale è stato probabilmente influenzato già in epoca prenatale dai desideri dei genitori, le cui aspettative sul figlio hanno una capacità straordinaria di determinarne lo sviluppo. Parlerete anche di questi aspetti da domani a Bologna, al convegno che ricorda il trentennale del Cipspsia?  Parleremo naturalmente di infanzia e di adolescenza, e di tutti quei contesti facilitanti, indifferenti, abusanti e maltrattanti. Metteremo in evidenza come in trent’anni le emergenze si siano trasferite dalla relazione genitori-figli a contesti sociali più preoccupanti, oltre a quelli a cui abbiamo accennato. Senza dimenticare tutte le fragilità di coppia che si traducono spesso in confusione e sovrapposizione dei ruoli genitoriali. Complicato, certo, ma allo stesso tempo generativo per chi, come noi, accompagna la crescita dei bambini e non può che guardare con preoccupazione alla deriva etica e sociale del nostro tempo.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: