giovedì 17 luglio 2014
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​Non lo può ammettere pubblicamente, ma ieri sera, di fronte a quei 27 capi di Stato e di governo con i quali credeva di aver sottoscritto un patto di ferro, Matteo Renzi ha avuto la sensazione di aver commesso un errore, un peccato di fiducia: portare a Bruxelles il metodo italiano, giocare a carte scoperte nel regno delle astuzie e delle trattative estenuanti. «L’Italia non vuole posizioni e poltrone ma rispetto. Pretendiamo rispetto per un Paese fondatore», dice il premier, con il volto rabbuiato, arrivando alla cena delle nomine e mostrando così di voler difendere strenuamente la candidatura di Federica Mogherini alla Politica estera comunitaria.Un arrivo in terra belga ritardato oltremodo, quello di Renzi. Il premier salta il pre-vertice pomeridiano del Pse e prende l’ultimo aereo disponibile, nel tentativo di evitare quella sfilza di bilaterali con i quali la nomenklatura di Bruxelles voleva, questa la sua sensazione, irretirlo. Da qui la scelta: andare direttamente alla cena dei 28 per guardare negli occhi Merkel, Hollande, Juncker, Van Rompuy e Schulz. I registi, sul fronte popolare e socialista, del difficile iter per rinnovare le istituzioni Ue.Con Van Rompuy e Hollande il premier va a scambiare due parole prima del vertice. Non è un caso: dal belga il premier vuole sapere se, con la storia di Enrico Letta, ha giocato su più tavoli, al francese Renzi chiede di non frantumare la compattezza del Pse. Ma la risposta di Van Rompuy sorprende il primo ministro italiano, e conferma quanto sia tattica e opaca la partita europea: «Guarda Matteo – avrebbe detto Van Rompuy – che Letta non l’ho tirato in ballo io, tra i popolari ne sta parlando Tajani per metterti in difficoltà...». E Parigi conferma l’appoggio a Mogherini.

Il punto è che Renzi, prima di partire, pensava di aver messo in salvo la posizione del suo ministro degli Esteri. Dapprima ottenendo dal Pse un’investitura ufficiale per la sua ministra degli Esteri, e poi smembrando il fronte dei Paesi dell’est che ritengono Roma «filorussa». Il premier si era speso personalmente con il collega polacco Tusk e aveva ottenuto, facendo pressioni su Angela Merkel, anche una retromarcia della Finlandia. Anche il ministro dell’Interno Angelino Alfano, dall’interno della riunione Ppe, aveva fatto la sua parte: «Niente veti sull’Italia». Strategia che sembrava aver dato frutti, al punto che da Palazzo Chigi facevano trapelare un certo ottimismo: «Per Federica si può anche votare, 5-6 contrari non sono un dramma...». E infatti il premier, in nottata, nelle prime battute insiste su questa linea: «A fine maggio i cittadini europei ci hanno chiesto di cambiare, e noi ci mettiamo 3 mesi per decidere sulle poltrone...», ha attaccato Renzi all’inizio del vertice. Proponendo, al massimo, un rinvio entro fine luglio, non certo per il mese prossimo. Poi la lunga trama degli interventi dei leader, con un accordo finale su due assi. Primo punto, il 28 agosto si decidono tutti i ruoli di vertice in un colpo solo, senza ulteriori dilazioni. Secondo punto, è confermato che al Pse restano gli Esteri, e che, fino a prova contraria, l’unica candidata è Federica Mogherini.Ciò che proprio non si aspettava, Renzi, era la proposta di Enrico Letta al vertice del Consiglio Ue nata, secondo alcune fonti, sul fronte popolare ma molto gradita, per ovvi motivi, anche sul fronte socialdemocratico. I due, il premier e l’ex premier, ne avevano parlato nell’unico loro incontro privato dopo il cambio di guardia a Palazzo Chigi. Faccia a faccia finito malissimo, come raccontano sia i renziani sia i lettiani. Negli ultimi giorni Van Rompuy era tornato a farsi vivo sostenendo che affidare ad «Enrico» la presidenza del Consiglio avrebbe sciolto molti nodi e avrebbe consentito di sfamare la sete di poltrone di numerosi nuovi Paesi. Con un evidente vantaggio per l’Italia, avere la leadership in due ruoli apicali, il consesso dei 28 e la Bce di Mario Draghi.Ma Renzi da un lato ha sempre detto che nessuna proposta ufficiale gli è mai arrivata per Letta, dall’altro si oppone fermamente all’ipotesi della coabitazione (alquanto imbarazzante anche alla luce delle immagini, che l’Europa ricorda, del gelido passaggio di consegne dello scorso febbraio). «Ce lo vedete a farsi dettare l’agenda da Enrico nel pieno del semestre europeo, ce li vedete a presiedere insieme le riunioni?», dicevano ieri sera da Palazzo Chigi quando a Bruxelles i capi di governo erano ancora ai preliminari. E anche l’ex premier, consapevole di poter essere tirato in ballo strumentalmente, si è più volte trascinato fuori dalla partita. Perciò, a fine serata, anche dal governo provano a sminuire la «provocazione» piovuta dalla riunione Ppe: «L’ipotesi non sussiste, nessuno, davvero nessuno ce l’ha chiesto. Forse è vero, è stato uno scherzetto di Tajani...».

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