sabato 20 febbraio 2016
​Il demografo Carlo Blangiardo commenta i dati Istat, che vedono in Italia un picco di decessi nel 2015 e un crollo delle nascite.
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Azzeccare una previsione demografica che delinea uno scenario negativo è forse un segno di professionalità, ma presenta risvolti decisamente amari. Quando qualche mese fa si scriveva su queste stesse pagine «Attenti ai morti» e, poco tempo dopo, si metteva in risalto che «I conti non tornano», volevamo creare consapevolezza su un 2015 che andava chiudendosi all’insegna dei diversi record negativi che la popolazione italiana stava collezionando sul fronte della demografia. Erano stime preliminari che oggi, con l’uscita del rapporto Istat sugli indicatori demografici, trovano chiara documentazione e vengono ufficialmente avvalorate.>> ISTAT: PICCO DI DECESSI, CROLLO DELLE NASCITE Dal rapporto Istat esce infatti l’immagine di un Paese in cui l’aumento della mortalità mostra un livello mai raggiunto nel secondo dopoguerra e va di pari passo con il più basso numero di nascite in oltre 150 anni di unità nazionale. Il risultato è l’ulteriore record di un saldo naturale negativo – 165mila morti in più rispetto ai nati – che, a fronte di una minor capacità attrattiva nei riguardi delle migrazioni dall’estero – anzi, una crescente tendenza all’emigrazione da parte degli italiani –, determina il calo numerico della stessa popolazione. Il bilancio del 2015 segnala infatti 139mila abitanti in meno: una variazione negativa che non si registrava in Italia dal lontano 1918, ossia in un anno in cui alle cause belliche si sommavano i gravi effetti dell’epidemia di "spagnola"!Che dire di un tale bollettino di guerra in un Paese che vive da decenni in pace e con uno standard di benessere che, pur con tutti i limiti di una congiuntura meno favorevole che in passato, si colloca pur sempre in una posizione di privilegio? I segnali che arrivano dalla demografia dell’Italia del 2015 non si possono vedere semplicemente come dati statistici da leggere e quindi da archiviare, giusto per tenerne memoria nel corso del tempo.Dietro ai "numeri" – cioè a ogni morto, a ogni nato (e a ogni non nato), così come a ciascun immigrato o emigrato – ci sono esseri umani, persone. E sono proprio i comportamenti e le scelte delle persone a determinare l’andamento dei fenomeni che segnano i cambiamenti in una popolazione. Sono la cura per la propria salute, il desiderio di metter su famiglia, la scelta di essere genitori, l’impegno a migliorare le condizioni di vita per sé e per i propri cari che muovono i dati di natura demografica. Ma tutto questo non può certo prescindere dal contesto, sociale, economico, normativo e ambientale in cui le persone sono chiamate a vivere e a interagire. Quando il rapporto Istat ci documenta l’aumento dei decessi e, di riflesso, mette in luce l’inattesa diminuzione della «aspettativa di durata della vita» – quello stesso indicatore che ci confermava e ci confortava, anno dopo anno, con l’allungamento della sopravvivenza – non possiamo non temere che vi sia, a monte e tra le diverse cause di tale fenomeno, anche un peggioramento delle risposte che arrivano da un sistema socio-sanitario perennemente alla ricerca di risparmi di spesa. Così come quando constatiamo un ulteriore abbassamento della natalità rispetto all’anno 2014, che già segnava il minimo assoluto, e prendiamo atto come esso si sia manifestato ovunque e senza distinzione di nazionalità – le nascite tra gli stranieri sono scese quasi del 20% – non possiamo non chiederci cosa manchi alle coppie per dare seguito a quei progetti di genitorialità che pur vorrebbero realizzare. In risposta a tale domanda è lo stesso rapporto dell’Istat a far presente che «(...) come per le aziende produttive la mancanza di aspettative positive costituisce un freno agli investimenti, così le difficoltà (soprattutto lavorative e abitative) oggi incontrate dalle giovani coppie rallentano la progettualità genitoriale».In ultima analisi, i comportamenti demografici degli italiani del nostro tempo riflettono semplicemente le condizioni di vita e le decisioni di persone e famiglie che vengono lasciate sole e senza aspettative di fronte a difficoltà e a scelte impegnative. E quella di fare un (o un altro) figlio non è che una delle più significative. Ma le azioni per contrastare le cifre da record del 2015 sono facilmente immaginabili e da tempo ben note. I dati statistici mettono semplicemente in risalto i nodi problematici; sta solo a chi orienta le scelte della popolazione assumersi la responsabilità se archiviarli o, come sarebbe auspicabile, tenerne adeguatamente conto e agire di conseguenza.
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