venerdì 22 gennaio 2016
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Il dibattito in corso sulla famiglia rivela quanto ci sia bisogno innanzitutto di comunicarla (anche se, si dirà, sembra un assurdo: la famiglia si vive, non si comunica...). Il fatto è che mai come oggi la famiglia è concettualizzata, politicizzata, snaturata. Viene presentata come un modello astratto da difendere o attaccare, «come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro – dice il Papa – invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato». Chi una volta 'metteva su famiglia' tende a non farlo più, per motivi non solo economici ma anche culturali; e al contrario chi non la poteva o non la voleva creare adesso la esige, magari in forme diverse. Risultato? Che la nozione di famiglia – intesa come realtà che si sviluppa a partire dall’alleanza feconda tra un uomo e una donna – si sfalda. E ci rimettiamo tutti quanti. Allora sì che c’è bisogno di comunicarla: per mostrare questo 'capitale sociale' che è ancora e prima di tutto una grande risorsa, non solo un problema, o un’istituzione in crisi. Perché sia di nuovo appetibile, attraente e quindi preservata e sostenuta per la sua convenienza universale. E perché si capisca cosa rischiamo di perdere se non la sosteniamo adeguatamente o se, modificandone la definizione, la svuotiamo di significato. Ma come mostrare il bene che la famiglia con queste caratteristiche rappresenta, e farlo a una società che, in nome dell’etica dell’autonomia, sembra percepire come imposto – quindi rifiutandolo – qualunque modello? Conviene prendere atto che reclamare, o restare sulla difensiva, tende a far passare chi crede nella famiglia per corporativo, quando invece si tratta di promuovere un bene comune, e che è preferibile essere umili (perché «non esiste la famiglia perfetta», come ha ricordato papa Francesco), inclusivi (perché, ci ha ricordato il segretario della Cei, il vescovo Galantino, «è una vicenda che deve interessare tutti»), e capaci di parlare sia alla testa che al cuore delle persone. Alla testa, con un approccio pragmatico, mostrando il contributo concreto che dà la famiglia: è rifugio dalla povertà, risparmio per la collettività (in quanto 'prima scuola' e 'ospedale più vicino'), educa alla diversità (perché basata sulla complementarietà), è garanzia di parità (giacché la differenza uomo-donna è per la comunione); e protegge l’individuo dai centri di potere e naturalmente, essendo generativa, assicura il futuro di ogni società e di ogni Paese.   Bisogna poi saper parlare anche al cuore, con un approccio emotivo che risvegli il desiderio di famiglia: come ha detto Francesco, è la famiglia che non lascia gli individui isolati «in un mondo globalizzato dove c’è sempre meno il calore della casa», e che risponde a quel sogno di amore autentico e di donazione totale proprio di ogni essere umano («anche l’uomo di oggi – che spesso ridicolizza questo disegno – rimane attirato e affascinato da ogni amore fecondo, fedele e perpetuo»). Superiamo allora il conflitto (interno ed esterno) partendo da quello che ci unisce e che tocca cattolici e non, adottando quello sguardo d’insieme che ci insegna il Papa: dire che oggi il problema è solo economico, o solo antropologico, vuol dire contrapporre due verità che convivono. Perché non aiutare la famiglia con adeguate politiche fiscali, o stravolgerne la nozione per allargarla a nuove forme di unioni (se tutto diventa 'famiglia', più niente è famiglia), equivale a idebolirla e distruggerla. Con un danno grave che riguarderà tutti.
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