martedì 20 gennaio 2015
​Il presidente dei Focolarini racconta le esperienze di dialogo del movimento impegnato nell'ecumenismo.
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Charlie Hebdo e il Belgio – ma anche la Siria e la Nigeria – non sono fronti di una guerra tra l’Europa e l’islam, con il quale, anzi, «abbiamo bisogno di un’allenza, di un dialogo... ». Sottoscrive l’analisi della Mogherini? Senza dubbio risponde Maria Voce, presidente del movimento dei focolari - e anch’io ricordo che i musulmani sono feriti quanto noi da questi attentati. Si dice dialogare con l’islam ma alla fine si riesce a dialogare solo con una parte. Non c’è un equivoco? È evidente che non c’è volontà di dialogo nei fondamentalisti dell’islam, ma anche l’occidente ha i propri fondamentalisti. Per questo noi focolarini puntiamo a quel dialogo che poggia sulla condivisione dell’esistenza quotidiana, non inizia tanto da un immediato confronto tra le idee, perché è indispensabile partire dalla conoscenza dell’altro e non, ad esempio, dalla religione dell’altro - per poter scoprire il vincolo di fraternità che lega tutti gli esseri umani. Solo su questa base si può innestare la comprensione della fede dell’interlocutore e si può rispettarlo fino in fondo, in modo che il dialogo risulti realmente costruttivo e non si limiti ad una convivenza non belligerante, che impedisce di costruire assieme il comune futuro. Solo in questo dialogo si scopre che ognuno ha qualcosa da donare all’altro e si constata che la diversità non è necessariamente motivo di opposizione, ma può essere motivo di arricchimento reciproco. Questo tipo di dialogo funziona anche in una 'terza guerra mondiale a pezzi'? Questo tipo di dialogo ha funzionato in quella città africana che ha accolto senza paura i profughi della fazione avversa e poi è stata difesa proprio da loro; funziona in Algeria, dove il nostro movimento è quasi completamente costituito da musulmani; funziona in Terra Santa, dove persone delle tre religioni pregano insieme per la pace e costruiscono ponti fra le loro comunità; funziona in Italia dove musulmani e cristiani lavorano insieme sui valori della famiglia; funziona in Austria, dove, grazie alla rete di rapporti costruiti, abbiamo evitato scontri e tensioni sociali; funziona in Macedonia dove la Facoltà di Pedagogia di Skopje ha aperto un asilo interetnico ed interlinguistico... Decisivo è lo spirito con cui si affrontano le problematiche. Se lo spirito è rafforzato da una spiritualità porta non solo a valorizzare tutto quello che di bene c’è nell’altro, a scoprire i doni di Dio presenti in ogni tradizione religiosa, a metterli in luce, ma anche a farli progredire. Poi però succede quel che è avvenuto in Nigeria e in Camerun... Anche chi crede nel dialogo prova dubbi e sconforto e anche chi crede nel dialogo chiede che si intervenga per fermare gli eccidi; ma non con la violenza, bensì formando i popoli alla pace; a Jos, proprio in Nigeria, in settembre abbiamo organizzato un seminario per un dialogo della pace che ha portato a una feconda esperienza di focolare. Questo dialogo può appassionare un giovane, ma anche esporlo a grossi rischi. Cosa direbbe se incontrasse Greta e Vanessa? Bentornate! Ringrazierei con loro Dio per la felice conclusione. I giovani sono portati ad appassionarsi ed anche a rischiare. Dirò di più: persino i ragazzi che combattono nell’Is originariamente possono avere avuto delle motivazioni in certo modo ideali, poi strumentalizzate. Non si deve mettere a repentaglio la propria vita, un’esperienza di solidarietà internazionale deve poggiare su preparazione e prudenza, ma per grandi valori si può rischiare e sovente si rischia. Come i medici che combattono Ebola in Africa. Torniamo all’Europa in fiamme: in che rapporto stanno dialogo e libertà di opinione? Gli omicidi di Parigi sono stati una pagina orribile ma la libertà ha un limite, e questo limite è il bene comune, il bene dell’umanità. L’ha detto il Papa, il quale non perde occasione per sottolineare anche l’accoglienza, l’empatia, l’ascolto pieno delle ragioni dell’altro, l’esercizio di un amore più grande, e ci esorta anche a non fare sconti sulla nostra identità di cristiani, in modo da prepararci a questo dialogo. Possiamo dialogare solamente se siamo autenticamente cristiani. Il nostro dialogo deve partire dalla consapevolezza che ogni incontro può essere una occasione per poter donare all’altro i valori del nostro essere cristiani. Senza imporli, ma con delicatezza e rispetto: sono un tesoro di cui anche gli altri hanno diritto di partecipare.
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