venerdì 4 novembre 2022
Il francescano che a Milano guida il cammino di riflessione sulla vita alla luce della fede racconta il dialogo che nasce attorno alle grandi domande esistenziali e interiori. Con molte sorprese
Il francescano fra Roberto Pasolini

Il francescano fra Roberto Pasolini

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I giovani lo cercano per condividere i loro desideri, e spesso per avere un consiglio. Fra Roberto Pasolini, francescano, autore di diversi libri, incontra ogni anno centinaia di ragazzi e ragazze. A Milano propone le «Dieci parole», il corso ideato da don Fabio Rosini e oggi diffuso in tutta Italia. In un anno i partecipanti vengono accompagnati a guardare in modo nuovo la propria vita.
Percorsi come le Dieci Parole attirano tantissimi giovani. Che cosa cercano?
Credo vogliano trovare punti di riferimento, sperimentano la necessità di dare contorni alle esperienze più importanti della loro vita, come il rapporto con Dio, con se stessi, con il corpo, con l’amore.
Ma c’è ancora bisogno di Dio? Le chiese sono sempre più vuote, soprattutto di giovani...
Credo che oggi la Chiesa si stia riconfigurando e rigenerando. È come quando sei in una stanza e c’è bisogno di aprire le finestre, uscire, cambiare aria, per poi rientrarci. Il Vangelo non è in crisi, lo è semmai il nostro modo di organizzarlo, pensarlo e attingervi. Anche i giovani probabilmente hanno bisogno di incontrare Dio in forme nuove: io li vedo passare in chiesa dopo una giornata di lavoro o studio, oppure arrivare per momenti di approfondimento che non sono quelli tradizionali. In generale noi pensiamo che se le performance sono al massimo, allora tutto va bene, invece spesso è proprio nei momenti di contrazione che avvengono le cose più importanti della vita. A me questa stagione della Chiesa sembra bellissima.
Ad allontanare i giovani possono essere le regole della Chiesa, percepite come anacronistiche, e a volte discriminatorie?
Credo che le regole e la grandezza dell’amore non siano due cose in contrapposizione. Lo vediamo anche nel nostro corpo: è una macchina perfetta, che risponde a una serie di regole meccaniche, ma allo stesso tempo è un trionfo di creatività. Probabilmente oggi c’è bisogno di dare nuova intelligenza alle cose, in modo più adeguato alla sensibilità del nostro tempo: noi non siamo più gli uomini e le donne dei secoli passati, oggi le persone scoprono molte cose nuove di sé. Magari le regole della Chiesa non cambieranno, ma si modificheranno i percorsi per arrivare al loro significato... Quando possiamo ritrovare il senso di una regola capiamo che è la strada per incarnare qualcosa che abbiamo deciso di vivere.
Un tema caro ai giovani è la libertà. Cosa significa per lei vivere da uomo libero?
Quando ero più giovane credevo che la libertà fosse l’autodeterminazione, cioè la possibilità di affermare che i miei passi erano scelti da me ed erano proprio quelli che volevo fare io. Poi ho scoperto che la libertà autentica è frutto di un grande lavoro interiore perché è dentro di noi che abitano i blocchi, le paure, la diffidenza, tutti elementi che ci impediscono di essere realmente liberi. Quando impariamo a conoscerli e a gestire il nostro inferno interiore, allora facciamo meno danni e possiamo davvero essere fratelli e sorelle degli altri. È un cammino, spesso un combattimento. Per questo preferisco parlare di liberazione... La libertà è l’orizzonte verso cui tutti tendiamo. A volte non siamo liberi perché ci mettiamo addosso delle maschere. Sì, ma poi fortunatamente la vita ci offre delle occasioni di messa a nudo: ci sono momenti in cui le maschere cadono. A quel punto, se riusciamo a stare fermi, a lasciarci guardare dagli altri, da noi stessi e da Dio, magari scegliamo di non indossarle più. Sono momenti di messa a fuoco di ciò che siamo realmente.
Il mondo virtuale oggi è parte integrante della vita dei giovani, e soprattutto degli adolescenti. Come può la Chiesa aiutarli a costruire legami autentici?
Innanzitutto abitando anche lei il mondo virtuale, camminando a fianco della realtà e sporcandosi le mani. Le relazioni virtuali non sostituiscono quelle reali, ma possono favorirle, e nel mondo ci sono tante cose buone che stanno avvenendo grazie alle tecnologie. Tante volte noi abbiamo l’idea che la Chiesa debba soltanto svolgere una funzione pedagogica, come una maestra che sa già le cose e le insegna agli altri. Penso invece che anche noi dobbiamo stare dentro a questi processi con fiducia, imparando a stimare il bello che c’è.
Gli adulti oggi cosa possono imparare dai giovani?
Quelli della mia generazione spesso dicono che i giovani sono fragili e incostanti. Molte volte è vero, ma il motivo è che si trovano sollecitati a vivere cose pazzesche, su tantissimi fronti diversi, come non era mai capitato nella storia: se devi fare tante cose, è inevitabile che tu sia più superficiale. A differenza nostra, loro nascondono molto meno la fragilità. Per questo possono insegnarci a diventare uomini, donne, genitori autentici. Mi accorgo che quando guardo i giovani con ammirazione, in modo vero e non forzato, un’energia buona esce da me, arriva a loro, li fa crescere, e allo stesso tempo rende me una persona più autentica. Dio fa lo stesso con noi: prima di ogni altra cosa ci ammira. E così ci fa crescere.

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