mercoledì 15 maggio 2019
Per il membro delle Commissioni Trasporti e Industria (Forza Italia): un maggior ruolo del Parlamento Europeo darebbe una mano all'Europa a riavvicinarsi ai suoi popoli
Massimiliano Salini

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Per Massimiliano Salini (Forza Italia), finora membro delle Commissioni Trasporti e Industria, i cinque anni di Parlamento europeo sono stati "un’esperienza che da un punto di vista politica può essere considerata la più entusiasmante, dopo esser stato amministratore locale".

Quale bilancio di questi cinque anni?

Ci sono tre cose che mi hanno particolarmente inorgoglito. La prima è la battaglia sul copyright nel Web, che ho seguito personalmente come membro della commissione Industria. Una partita che abbiamo vinto e che ha segnato importante differenza tra Ppe e cosiddetti partiti sovranisti, che si sono opposti, forse perché ossessionati dalla loro battaglia sui Social network, mentre la realtà di tutti i giorni li vede molto meno brillanti. La seconda è quella che mi ha visto relatore del programma spaziale europeo con 17 miliardi di euro nell'ambito del nuovo bilancio pluriennale Ue che garantiscono una capacità innovativa straordinaria dove l’Italia molto coinvolta. La terza è quella che ha visto protagonista il Ppe con la ridefinizione delle regole antidumping a tutela dell'industria europea.

Rimpianti per qualcosa che il Parlamento non ha fatto?

Il primo punto che mi viene in mente, anche se in realtà la colpa non è nostra, è la mancata riforma del regolamento di Dublino sull'asilo. Noi come Parlamento avevamo trovato accordo molto soddisfacente, ma purtroppo tutto si è bloccato in Consiglio dei ministri Ue. C'è però anche una questione di fondo, per me importante, l’impianto culturale che il Parlamento Europeo decide di non darsi.

E cioè?

È un problema che riguarda il Parlamento Europeo ma anche quello nazionale: si pensa di poter disciplinare e normare la vita delle persone senza avere un'identità culturale chiara, un’anima. L'Europa non è stata in grado di dotarsi di una Costituzione, per volontà degli Stati. Ad esempio sul fronte sociale non si vuole più parlare di famiglia, parola scomparsa nella produzione normativa Ue. Non si vogliono riconoscere le nostre radici greche, latine, cristiane, che vedono l'uomo al centro come protagonista, creatore, produttore. L'Europa è questa, non quella mercantilistica che vorrebbero alcuni Stati del Nord. Su questo mi batterò nella prossima legislatura.

Molti ritengono che il Parlamento Europeo vada rafforzato. È d'accordo?

Certo. Ed è il compito che mi do per la prossima legislatura. Prima di Lisbona, la nostra istituzione aveva un ruolo ancillare, oggi invece almeno sulla carta il suo potere d’intervento è molto accresciuto. Il problema è che nella sostanza resta un'istituzione bloccata dall'iniziativa normativa che è esclusiva della Commissione, e dai vincoli dell’azione intergovernativa che attraverso la regola dell'unanimità blocca molti dossier.

Cosa fare?

Dal mio punto di vista il futuro delle istituzioni deve vedere il Parlamento come perno: un provvedimento si chiude in aula, anche contro la volontà del Consiglio Ue se questo non ha trovato l'accordo. Inoltre l'iniziativa legislativa deve essere del Parlamento, non della Commissione, che deve essere solo esecutiva. L'esperienza dimostra che nel Parlamento si ha una discussione veramente compiuta, capace di tener conto delle istanze dei popoli, ed è un peccato che questa capacità negoziale che raggiunge accordi a volte inaspettati, venga poi interrotta perché manca l'assenso del Consiglio. Un'esperienza che dimostra come non solo in sede tecnica, ma anche pratica, un maggior ruolo del Parlamento Europeo darebbe una mano all'Europa a riavvicinarsi ai suoi popoli.

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