giovedì 5 aprile 2012
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​Lo scossone questa volta è arrivato dal «cartello» dei produttori. «Siamo molto preoccupati per le notizie che stanno trapelando» sulla riforma del mercato del lavoro. È bastato il segnale lanciato da Monti al Pd sul reintegro per i licenziamenti economici, per riaprire la girandola delle obiezioni. La firma in calce è quella di Confindustria, Abi, Alleanza delle Cooperative e Ania. Quattro associazioni datoriali che pesano, eccome, sull’esito finale del negoziato. Un comunicato congiunto, una voce sola, per ribadire che le condizioni poste al ministro Fornero restano tutte lì, pronte a essere utilizzate alla prima occasione utile. A scanso di equivoci, il blocco delle imprese ricorda che «l’impianto complessivo della riforma già irrigidisce il mercato del lavoro riducendo la flessibilità in entrata e abolendo, seppur gradualmente, l’indennità di mobilità, strumento importante per le ristrutturazioni aziendali». Messaggio chiaro: la parte produttiva del Paese ha già fatto la sua parte, ora i sindacati non tirino la corda con la richiesta di modifiche sull’articolo 18, non a caso definite «un logico bilanciamento nella nuova disciplina delle flessibilità in uscita».Sono allo studio cambiamenti che per le aziende risulterebbero «inaccettabili. In particolare – spiega la nota congiunta – la diversa disciplina per i licenziamenti di natura economica e quella che va complessivamente configurandosi per i contratti a termine, specie per quelli aventi carattere stagionale». Lo spauracchio è quello di un complessivo «arretramento» delle ragioni dell’impresa dentro il disegno di legge, che verrà discusso dalle Camere «in tempi brevi», ha auspicato il premier. La conclusione è netta: se queste notizie «dovessero trovare conferma non può che ribadirsi che "al Paese serve una buona riforma e che, piuttosto che una cattiva riforma, è meglio non fare alcuna riforma"».Prendere (così) o lasciare. D’altra parte, il «cartello» dei produttori non ha mai dissimulato, nelle settimane che hanno preceduto la presentazione della riforma, una sostanziale freddezza rispetto al percorso impostato da Monti sulla riforma del mercato del lavoro. All’obiettivo apprezzato di una modernizzazione degli strumenti (non tutti, in realtà) ha fatto da contraltare qualche perplessità sul metodo utilizzato: per le aziende è mancato uno sguardo d’insieme, che ha finito per penalizzare anche la logica scelta dei pesi e contrappesi. È necessario ricordare, peraltro, che le imprese non sono tutte allineate e coperte sulla stessa posizione. Anche ieri Rete Imprese Italia, che riunisce Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, ha confermato una linea distinta rispetto a quella sostenuta dal fronte guidato da Confindustria e Abi. C’è «la necessità» di affrontare «il tema della riduzione della contribuzione in eccesso per Inail e malattia a carico delle gestioni commercio ed artigianato», ha sottolineato Rete Imprese Italia.Negoziato a oltranza, dunque, mentre è dai sindacati che per il governo arrivano le notizie migliori di giornata.La delega sui lavoratori della pubblica amministrazione «potrebbe essere una buona notizia, è quello che chiedevamo» ha detto il segretario della Cgil, Susanna Camusso, salvo poi mostrarsi prudente: «Nessun commento, temiamo sorprese». Per il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, la questione dell’articolo 18 «è stata definita in modo ragionevole», mentre Luigi Angeletti della Uil ha parlato di «pericolo scongiurato. Abbiamo pareggiato fuori casa» è la sintesi calcistica. Ora bisognerà capire se il pressing lanciato dalle imprese aprirà qualche varco nella difesa del provvedimento promessa da Palazzo Chigi.
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