lunedì 26 settembre 2011
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In una calda mattina di fine agosto, la campagna di Cremona si è trasformata in una piccola India. Uomini con il turbante e la lunga barba, donne in coloratissime tuniche, bambini con i capelli raccolti a crocchia in un fazzoletto, sono affluiti da tutto il Nord Italia a Torre de’ Picenardi, nei pressi di Pessina Cremonese, per partecipare all’inaugurazione di un nuovo tempio sikh. A Pessina Cremonese si aspettava l’arrivo di circa tremila sikh: ne sono giunti invece quasi seimila, per una pacifica kermesse fatta di canti, preghiere e distribuzione di cibi indiani a tutti i convenuti. Fra i quali non mancavano molti cittadini cremonesi, venuti per capire chi fossero questi indiani che da anni lavorano nelle aziende agricole (e non solo) della campagna lombarda. Il termine “sikh” significa “seguace” o “devoto” di una religione monoteista – il sikhismo appunto – nata fra il XV e il XVI secolo da una sintesi di elementi islamici e induisti, nello stato indiano del Punjab; sintesi operata nella sua predicazione da un mistico di nome Nanak, che voleva porre fine ai conflitti politico-militari in corso fra musulmani e induisti e divenne poi il primo dei dieci guru del sikhismo. Una religione, dunque, nata da un’aspirazione alla pace e al dialogo. Un’aspirazione evidente anche nella giornata di inaugurazione del tempio: mentre il presidente dei sikh della provincia di Cremona, Jatinder Singh, accoglieva con parole di fratellanza i sindaci della zona, un elicottero passava sulla folla lasciando cadere petali di fiori e alcuni sikh regalavano agli italiani un libretto illustrativo sui fondamenti del loro credo, realizzato dalla Sikh Sewa Society di Cremona. In sostanza i sikh chiedono di essere accolti, e a loro volta sono impegnati ad accogliere chiunque, perché l’accoglienza è un principio fondamentale della loro fede. Nato per superare le divisioni fra islam e induismo – ma anche tutte le discriminazioni di casta – il sikhismo prescrive infatti che al piano terra di ogni tempio vi sia una grande cucina-ostello (chiamata langar) dove chiunque si presenti possa venire accolto, sfamato e ospitato gratuitamente. Chiunque, a prescindere dalla sua appartenenza religiosa, perché mangiare insieme affratella e costringe a superare le barriere castali e sociali. Non fa eccezione a questa regola il gurdwara (così si chiamano i templi sikh, letteralmente “la porta del guru” supremo, che è Dio) di Pessina Cremonese, dotato anch’esso di un ampio langar a disposizione dei visitatori. L’edificio – su cui alcuni media hanno fatto sensazionalismo scrivendo che si tratterebbe del «più grande tempio sikh d’Europa», cosa assolutamente non vera – è dedicato al decimo e ultimo guru dei sikh, Govind Singh. L’ultimo guru è una figura particolarmente venerata dai sikh perché riformò in senso “marziale” la comunità fondando nel 1699 il khalsa, “l’ortodossia”, i cui membri devono seguire precise regole: una sorta di battesimo, devozioni, austerità nei costumi (astinenza da alcol, fumo, droghe), servizio volontario agli altri (“sewa”) nei langar e non solo, e l’uso di adottare il cognome Singh (“leone”) per i maschi e Kaur (“principessa”) per le femmine. Le regole del khalsa impongono al sikh “battezzato” anche di essere riconoscibile nell’abbigliamento, e da qui l’uso del turbante (per uomini e donne, benché di diversa foggia), la lunga barba per gli uomini e – per tutti e tutte – l’uso di portare un piccolo pugnale, il kirpan, a testimoniare la disponibilità a difendere la fede con la vita. Queste le regole del khalsa, ma bisogna ricordare che non tutti i sikh appartengono al khalsa; molti – soprattutto fra i più giovani – non seguono queste regole, perciò non hanno un “aspetto sikh”.È proprio il possesso del piccolo pugnale a suscitare ogni tanto – a Cremona e non solo – perplessità e contestazioni in chi lo vede come un’arma anziché come un simbolo religioso. Spiega in proposito Jaswant Singh, un membro del khalsa che ha partecipato all’organizzazione della festa al tempio: «Ho ventisei anni, vivo in provincia di Cremona a Pescarolo e Uniti, lavoro in una fabbrica di cioccolato e sono felicissimo di stare in Italia. Sono riuscito ad integrarmi molto bene con gli italiani, solo vorrei che in certe circostanze ci si ricordasse di rispettare la nostra fede: per esempio se uno di noi va all’aeroporto di Malpensa gli agenti della sicurezza lo frugano ovunque e gli chiedono di togliere il turbante pensando che lì sotto nascondiamo chissà cosa. Ma il turbante per noi non è un cappello, è un simbolo della nostra fede, come il kirpan o come il braccialetto che teniamo al polso». Incomprensioni, perplessità, che a volte rendono difficile il dialogo. Ma a nessuno, nel cremonese, sfugge la necessità di dialogare con una comunità che ha saputo integrarsi nel territorio e nella sua economia. «La presenza dei sikh nel cremonese è assodata da decenni e si contano ormai in alcune migliaia gli indiani sikh che lavorano nelle aziende agricole e zootecniche, vivendo prevalentemente in cascine che altrimenti cadrebbero nell’abbandono», dice il sindaco di Pessina Cremonese, Dalido Malaggi. «Nella grande maggioranza si occupano di allevamento e hanno salvato un’economia, quella zootecnica, dove i nostri giovani non vogliono più essere impiegati». La serietà e l’abilità dei sikh nel lavoro qui è riconosciuta da tutti, ed è facilmente spiegabile: la loro area d’origine – lo Stato indiano settentrionale del Punjab – è detta “il granaio dell’India”, dove i sikh si occupano tradizionalmente di agricoltura e allevamento dei bovini. Non a caso, in settembre il quotidiano “International Herald Tribune” ha dedicato un articolo ai sikh che lavorano come “bergamini” nella provincia di Cremona, sottolineando il loro apporto fondamentale alla produzione del Grana Padano, come testimonia il presidente della Coldiretti della Provincia di Cremona, Davide Solfanelli: «Un terzo dei lavoratori impegnati nelle stalle cremonesi sono indiani; gente affidabile, lavoratori indispensabili per l’agricoltura e l’allevamento nella nostra provincia, dove si produce un decimo dell’intera produzione nazionale di latte». E che il Grana Padano abbia bisogno dei sikh del Punjab, è proprio un segno dei tempi.
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